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Tamaki passeggiava tra le tende per assicurarsi che tutti i ragazzi avessero trovato un proprio posto per dormire da quel momento in poi. Era preoccupato e allo stesso tempo in fibrillazione per ciò che stava per cominciare. Sollevò lo sguardo verso il cielo, di lì a poco i colori caldi del tramonto avrebbero iniziato a tingere quelle poche nuvole presenti e avrebbero inondato il mondo con i loro spettacolari giochi di luce.

"Quando un uomo guarda il cielo vuol dire che la terra su cui cammina non gli basta più"

Tamaki riabbassò lo sguardo e posò i propri occhi scuri in quelli blu di Mirio, non il suo Mirio, sia chiaro. Inarcò un sopracciglio e inclinò la testa.

"È una frase che hai letto da qualche parte?" chiese curioso. Gli era piaciuta perché sotto molti aspetti poteva essere realistica. Lui non aveva più sulla terra ciò di cui aveva più bisogno. Ora si trovava tra le costellazioni.

"Me la ripeteva Tamaki ogni volta che alzavo lo sguardo" il biondo sorrise tristemente nel ricordarsi quella frase che il suo Tamaki aveva inventato solo per lui "Se vuoi ti mostro come si dice con il linguaggio dei segni" propose piegando di poco l'angolo della bocca. Non aveva più usato quel modo per comunicare da quando aveva perso l'unica persona che lo comprendeva. La stessa che glielo aveva insegnato pazientemente.

Tamaki annuì consapevole che quel Mirio sembrava avere un cuore grande quanto quel Mirio che lui aveva perso. Forse esisteva una remota possibilità che potesse accettare nella propria vita un amico così simile all'amore che lui aveva perduto.

Mirio annuì, come per far capire al corvino che aveva recepito la risposta, e cominciò a muovere le mani. I gesti erano fluidi, si susseguivano come fosse un unico movimento, una danza delle mani che trasmetteva anche un po' della malinconia che portava nel cuore il biondo.

"Il mio Mirio ripeteva sempre un'altra frase" disse il corvino congiungendo le mani e premendo i polpastrelli sulle labbra, come se in quel modo potesse toccare le parole che di lì a poco sarebbero uscite. Un tempo lo aveva fatto con lo stesso Mirio. Mentre il biondo parlava, aveva posato i propri polpastrelli sulle sue labbra e aveva giustificato quel suo gesto dicendo che voleva solo farlo smettere di parlare, mentre invece aveva voluto verificare se anche al tatto le sue parole risultavano così calde e confortevoli.

"Cosa diceva?" il biondo lasciò ricadere le mani lungo i fianchi e guardò curioso il ragazzo più basso e magro di lui. Aveva constatato sin da subito che, non importava di quale mondo si trattasse, Tamaki era sempre troppo magro. Anche con questo appena conosciuto aveva la sensazione che si potesse spezzare sotto una pressione poco maggiore di una semplice pacca sulla schiena.

"Che noi tutti siamo stelle terrestri e ogni legame va a formare una costellazione" I polpastrelli del corvino si scaldarono con i soffi caldi provenienti dal fondo della sua gola.

"Ogni legame? Quindi una famiglia è una costellazione" ragionò Mirio, portandosi una mano ad accarezzare il mento. Inconsapevolmente alzò il viso e fissò lo sguardo su quel punto lontano che poco prima aveva attirato l'attenzione dell'altro ragazzo.

"Sì. Anche noi ragazzi del bunker siamo una costellazione. Una costellazione con una stella mancante, ormai" l'ultima frase Tamaki la sussurrò.

"Fa male, vero? Un male che non si può descrivere. Non credo che qualcuno possa comprendere il dolore di qualcun altro. Ognuno soffre in modo differente"

Il corvino si trovava d'accordo con quanto detto dal biondo, ma non annuì, tutte le sue energie erano concentrate sul non affogare di nuovo in quel dolore dovuto alla perdita di Mirio. Un dolore incomprensibile per chiunque altro.

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