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A Tamaki era sempre piaciuto stare seduto sulla panchina e guardare il cielo mentre le nuvole si divertivano a rincorrersi lasciandosi dietro solo una scia poco visibile che piano svaniva. In quel momento si trovava proprio su una vecchia panchina di legno, con la punta delle dita seguiva le piccole crepe che si erano create con il tempo e nel frattempo teneva il naso puntato verso l'alto. Sul viso non c'era dipinta alcuna espressione, né un sorriso né una smorfia. Impassibile.

Quella panchina, gli aveva detto una volta il Mirio dell'altro mondo, era il posto preferito di Amajiki, il Tamaki muto. Il legno probabilmente si era impregnato delle emozioni di quel ragazzo e stava portando avanti il suo ricordo, come una reliquia, un santuario in suo nome e lui ci si era seduto, come per assorbirne la memoria, come per riuscire a comprendere ciò che stava passando nella mente del biondo.

Sentì dei passi dietro di lui, ma non si voltò, anzi chiuse gli occhi e finse di non trovarsi lì. Sentì una mano stringergli la spalla, anche in quel caso non reagì, lasciò che quella sensazione gli scivolasse addosso, la sensazione di riavere il suo amico, nonché amore, accanto se la lasciò scivolare via. Non poteva cedere alla follia. Lui era consapevole che il suo Mirio era morto e che la mano che in quel momento stava scendendo dalla spalla fino al gomito apparteneva solo a una copia giunta da un altro mondo.

"Tamaki, dobbiamo decidere come muoverci. Le prossime missioni le possiamo iniziare tra una settimana" la voce del biondo era fin troppo salda, reale, talmente tanto che costrinse il corvino ad aprire gli occhi e a posarli in quelli blu indaco per studiarne la profondità. Una profondità a cui non riusciva a dare un fondo, come quando si immerge la testa nei punti più profondi del mare e non si vede la sabbia che ne segna il limite, lì dove vivono gli animali degli abissi.

"Mirio, credo sia meglio che i ragazzi si prendano una pausa, non ci serve andare a cercare cibo così lontano dalla base. Abbiamo i nostri raccolti, usiamoli" si alzò dalla panchina e si posizionò in piedi di fronte al biondo. Era più basso, decisamente meno muscoloso e forse anche più stanco, ma non gli importava, lui si considerava alla pari di quel ragazzo perché il suo Mirio lo aveva sempre considerato tale.

Ricordava, come se fosse capitato solo pochi minuti prima, il giorno in cui Mirio lo aveva preso da parte a scuola e gli aveva detto che non doveva più farsi bullizzare perché lui era migliore di qualsiasi altra persona presente nell'universo. Forse non era stato un caso che avesse usato il termine universo, come se già nel passato avesse saputo cosa sarebbe accaduto in futuro, che i mondi si sarebbero fusi e lui si sarebbe trovato a dover fronteggiare un altro Mirio.

"Non possiamo fermarci, non ora, siamo così vicini" il biondo sembrava agitato, la fronte luceva per le goccioline di sudore che si stavano depositando appena sopra le sopracciglia. Continuava a guardarsi intorno come alla ricerca di qualcosa o qualcuno. Tamaki seguì quei movimenti frenetici con il proprio sguardo e poi inclinò la testa di lato.

"Cosa mi stai nascondendo?" il tono freddo riuscì a fermare i movimenti agitati dall'altro. Le mani di Mirio si strinsero tra loro, le nocche sbiancarono e le unghie affondarono nella pelle.

"N-nulla" Mirio allargò gli occhi e li puntò contro quelli scuri come l'inchiostro del più basso. Conosceva a memoria il colore di quel paio di occhi, ci si era specchiato milioni di volte, ma con quel ragazzo proveniente da un'altra terra era completamente diverso. Era come guardare in uno specchio rotto. Le crepe sul vetro riflettente facevano nascere brividi di inquietudine.

"Parla" lo intimò il corvino. Tamaki sapeva come convincere i suoi ragazzi ad obbedirgli, ma con Mirio era diverso. Su di lui sembrava non avere alcun potere. In fondo, quel tono di voce non lo aveva mai provato con il biondo del suo mondo, perché mai avrebbe dovuto funzionare con il doppelganger?

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