Capitolo 36. Visions of Gideon

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Queste parole.

Queste maledette parole.

Mi si pietrifica il volto.

Metto giù il telefono, che mi scivola di mano, e Aaron, notando i miei nervi tesi e le mani che stringono la sua pelle come a volerla strappare, si allontana di qualche centimetro e mi guarda perplesso.

Preoccupato mi sussurra qualche parola all'orecchio, mi parla a voce più alta, mi chiede qualcosa, mi scuote, e io paralizzata non riesco a dire niente.

Piango, non mi accorgo delle lacrime, ma vedo con gli occhi socchiusi le sue mani prendermi il volto fra di esse, e cerca di stringermi a sè.

La mia mente non è qui.

La mia mente non è più qui, e tra rabbia, paura, odio, ribrezzo, preoccupazione, sollievo, egoismo e Amore.

Riesco a reagire, con il petto in fiamme e la sensazione di essere ricoperta da lacrime, con una fitta provocata dall'ansia e di non toccare neanche la sabbia, corro.

Corro lontana da Aaron, che incomincia a urlare e inseguirmi genuinamente spaventato, chiedendomi cosa c'è e chi era al telefono.

Io tento di correre più veloce che posso nella sabbia e nel buio, mentre cerco di ricordare dove aveva parcheggiato la macchina.

Non penso ad altro che lui, lui, lui, lui e lui.

Aaron però è più allenato di me, e mi raggiunge in tempo per bloccarmi, e anche se non riesco a sentire il suo contatto, con la mente e il corpo già altrove.

Non riesco a sentire quello che ha da dirmi, mentre mi prende il più delicatamente possibile per le braccia, e mi appoggia alla portiera di un'auto, non so se sia la sua, non ci faccio caso, e non mi interessa, perchè lui è qui, e devo, voglio vederlo.

Devo parlargli, devo baciarlo, ucciderlo, voglio ammazzarlo con le mie stesse mani.

Voglio toccarlo, voglio essere sua, no, non voglio vederlo, non voglio più vederlo, io sono terrorizzata. Ma ho bisogno di lui, è più forte di me.

Tremo, e piango, anche mentre Aaron mi copre con la sua giacca e mi stringe forte in un abbraccio.

Chiudo gli occhi e continuo ad ascoltare solo le voci nella mia testa, da brava egoista quale sono, rifiutando ogni tentativo di aiuto.

E lui mi urla qualcosa nell'orecchio. No, non è lui, perchè lui è all'ospedale, per colpa mia.

È Aaron che mi urla all'orecchio, e dopo questi dieci minuti di inseguimento, con il fiato corto e il corpo stretto fra le sue braccia forti.

Mi sciolgo, i nervi si distendono quanto basta da farmi sentire le sue grida, i suoi tentativi di calmarmi, le mie paure.

- "Imani! Stai ferma, devi respirare"-

E continua ad aiutarmi, continua a restare immobile, sistemarmi i capelli, mette una mano sul mio petto, sul mio cuore, e ascolta il mio battito.

Finalmente riesco a parlare.

- "Io, tu non capisci, lui è qui, io devo andare, lui ha bisogno di me Aaron, lui non sta bene, io devo andare"-

E Aaron, nonostante mi ascolti confuso, alle mie prime parole, capisce la situazione, e mi fa salire in macchina.

E dopo avermi aiutata a sistemare la giacca, corre dall'altra parte e ci allontaniamo dal parcheggio velocemente.

Io continuo a piangere, mentre lui guida, e mi confida parole serene e domande dal tono semplice.

Love & Thunder | Chris EvansDove le storie prendono vita. Scoprilo ora