CAPITOLO 28 - Vuoto

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A casa di Nat regnava un silenzio opprimente, un silenzio che sembrava amplificare ogni mia inquietudine. Inutile dire che non dormii neanche quella notte. Ogni volta che provavo a chiudere gli occhi, la figura del cadavere del Caposquadra si ripresentava nella mia mente, come un'ombra che non riuscivo a scacciare. Non potevo liberarmene.
Nat non voleva nemmeno parlarmi. Dopo avermi visto con l'arma in mano, era convinto che fossi colpevole, che avessi fatto tutto da solo. Non importava quante volte gli avessi spiegato la verità, non riuscivo a convincerlo. Giuly, invece, era dalla mia parte. Lei sapeva che non avrei mai fatto una cosa del genere, e anche se lo avessi fatto, sarebbe stato per una ragione importante. Ma la tensione tra loro cresceva. Litigavano spesso, sempre per colpa mia, e parlavano sempre meno. A me, però, non importava. Quel giorno, persi l'ultimo briciolo di umanità che mi era rimasto. Il mondo si era ridotto a una scala di grigi: non provavo più nulla, nessuna emozione. Il vuoto regnava dentro di me.
Quando incontravo Giuly o Nat, li salutavo solo con lo sguardo. Parlare mi sembrava inutile, un fastidio. Ogni parola, un peso. Uscivo dalla mia stanza solo per mangiare uno stuzzichino ogni tanto e andare in bagno, niente di più. Il resto del tempo lo passavo chiuso a chiave nella mia stanza, buttato sul letto. Ma non stavo pensando. Non c'era nulla nella mia testa. Il mio cervello era vuoto, completamente spento. Passavo le giornate steso sopra le coperte, fissando il soffitto o affondando il viso nel cuscino, girandomi e rigirandomi senza pace. Non facevo altro che roteare tra le lenzuola, come se il continuo movimento potesse distrarmi da una realtà che non riuscivo ad accettare. Di tanto in tanto, Giuly bussava alla porta per sapere come stavo, ma io la ignoravo, aspettando che se ne andasse.
L'unico suono che sentivo era il ticchettio delle lancette dell'orologio, il tempo che scorreva inesorabile. Paradossalmente, quei giorni non volarono affatto. Ogni secondo sembrava pesarmi addosso, lo sentivo scivolare sulla pelle. Questo, almeno, nei primi giorni. Poi iniziarono altri problemi.
Al quarto giorno, il dolore alla testa divenne insopportabile. Sentivo come se la mia fronte stesse per esplodere. Fu un giorno terribile. Non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto per mangiare. Provai a farlo solo la sera, quando il dolore si era leggermente affievolito, ma non riuscii a mandare giù nemmeno un boccone. Mi sentivo debole. Ogni volta che provavo a rialzarmi, crollavo a terra o mi aggrappavo a una parete o a un mobile per non cadere. Solo allora il mio cervello iniziò a riaccendersi, a pensare. Riflettevo su ciò che era successo quel giorno. Come aveva fatto la Suprema a fuggire? Perché avevo quell'arma in mano? Cosa mi aveva fatto? Poi, un'idea improvvisa mi colpì, un lampo di genio.
Qualche giorno dopo, il Signor Cruz e Crawford vennero a farmi visita. Feci entrare solo Cruz, spinto dalla necessità di chiedergli una domanda che mi tormentava e a cui solo lui poteva rispondere.

Cruz:
"Dimmi, Alex. Come stai?"

Alex:
"Lei?"

Cruz:
"Non mi rigirare la domanda."

Alex:
"Non le rigirerò la domanda, allora. Anche perché, con tutta onestà, mi interessa relativamente poco. Volevo solo chiederle una cosa."

Cruz:
"Va bene... dimmi." Rispose con una faccia perplessa, quasi spaventata. Sicuramente pensava che fossi più strano del solito.

Alex:
"Mi dica... cosa c'era nella stanza viola della villa?"

Cruz:
"Ehm... come mai questa domanda?"

Alex:
"Risponda."

Cruz:
"Nulla... cioè, niente di importante."

Alex:
"Ho detto risponda."

Cruz:
"Allora, in pratica... quella stanza... diciamo che la volevamo tenere nascosta perché è pericolosa. Molto pericolosa."

Alex:
"Vada al punto."

Cruz:
"Lì dentro... lì dentro il Signor Hill studiava una cosa in particolare."

Alex:
"Mi dica solo cosa."

Cruz:
"Lui stava studiando... la possibilità di controllare la mente altrui."

Alex:
"Ah..."

Cruz:
"Perché ti interessa così tanto? Non dirmi che-"

Alex:
"Esca di qui."

Cruz:
"Ma Alex..."

Alex:
"Ho detto esca."

Cruz:
"Vuoi continuare a rimanere in questa stanza per sempre? Eh? È questo che vuoi? Vuoi stare qui a fare la muffa aspettando qualche miracolo divino?"

Alex:
"Rimarrò qui dentro finché non troverò un motivo per uscire, Signor Cruz. Al momento non ne ho. Ho fatto tutto ciò che potevo fare, ora non mi importa più di nulla. Non uscirò, a costo di dover passare tutta la mia... spero cortissima... vita e invecchiare fino alla morte."

Cruz:
"Alex, tu non-"

Alex:
"Non voglio più rivedere la sua faccia qui! Sono stato chiaro? È inutile che lei continui a rimproverarmi, non la ascolterò, come non ascolterò nessun altro. Ora, può gentilmente uscire e chiudere la porta?"

Il Signor Cruz si alzò e uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé, proprio come gli avevo chiesto. Passarono altri giorni, e le giornate sembravano farsi sempre più cupe. Ogni giorno mi affacciavo da quel piccolo spiraglio che lasciavo aperto nella finestra, cercando di riflettere su tutto ciò che stava accadendo.
«È diventata una tua versione di Amleto» mi dicevano, riferendosi al libro che stavo scrivendo. Non capivo esattamente cosa intendessero. Ogni volta che sentivo la parola libro, provavo un senso di ribrezzo. Per me non era solo un libro. Era il mio diario, una sorta di autobiografia. Ancora meglio, era la mia storia, il mio mondo, la mia vita. Dentro quelle pagine, quasi potevo sentire la voce di mia madre, sussurrarmi un tenero «Ti voglio bene».
È vero, avevo perso tutto. Mia madre, in primis, poi mio padre, mio zio, il mio migliore amico, la mia ragazza, il mio cagnolino e il Caposquadra... e, ormai, perfino la cotta che avevo per Giuly. Avevo perso anche la fiducia di Nat. Ma c'era una cosa che nessuno mi aveva portato via: la mia passione. La voglia di andare avanti e scrivere ogni giorno quello che mi accadeva era l'unica speranza a cui mi aggrappavo. Quel libro conteneva tutto ciò in cui credevo, tutto ciò che ero, tutto ciò che avevo sognato di diventare. Giurai a me stesso che il giorno in cui avessi smesso di scrivere sarebbe stato lo stesso giorno in cui sarei morto.
Mentre ero intento a scrivere quelle parole, sentii la voce di Giuly dall'esterno della porta. Bussava con forza, chiamandomi.

Giuly:
"Alex, Alex! Apri, stavolta è veramente importante!"

Alex:
"Che vuoi? Ho da fare."

Giuly:
"Devi aprire, abbiamo trovato una lettera!"

Alex:
"Cioè? Da parte di chi?"

Giuly:
"Da parte di tuo padre."

Il Mondo Oltre I Miei Occhi - Volume 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora