CAPITOLO 11

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Le persone non vanno cambiate
ma vanno capite.
(Università, Gianni Bismark)

LEILA'S POV💜

Mi appare in tutta la sua bellezza. Ha un qualcosa di diverso, non capisco cosa sia.

"Non mi fissare cosi L, ho solo tagliato i capelli." E mi sorride mentre naturalmente entra in casa mia.

"Mi sei mancato."

Mi tappo istintivamente la bocca con la mano mentre lui si blocca al centro della stanza.

Si gira inchiodando i suoi occhi nei miei.
"Mi sei mancata anche tu."

Ed è come se il mondo esplodesse in un misto di emozioni.

Noi non saremo mai addio, ma solo e sempre un ritorno.

"C'è odore di vernice qui dentro. Che hai combinato in mia assenza?"

Lo conduco verso la mia stanza e così gli mostro un altro pezzo di me, lo prendo per mano e lo faccio entrare nel mio mondo a piccoli passi. L'astronomia è una passione ereditata da mio padre.

"Wow L è meraviglioso." Inizia a camminare per la stanza e allunga il braccio verso il soffitto provando a toccare le centinaia di stelle che ho dipinto.

Mi prendo tutto il tempo per ammirarlo. I capelli ora sono più corti e in ordine, il nero fa contrasto sulla sua pelle candida, le labbra sono rosse e screpolate dal freddo che ancora non accenna a lasciare New York, il naso all'insù è leggermente arrossato sulla punta. Indossa un dolcevita grigio scuro e dei jeans neri che gli fasciano le gambe. Le maniche del maglione sono leggermente tirate su e scoprono l'inchiostro che ha su di se. Ha un fascino enigmatico.

"Allora visto che ti sono mancato, perché invece di stare li impalata non vieni qui?" Non mi ero neanche accorta che si fosse seduto sul letto e avesse acceso la sua solita ed immancabile sigaretta.

Mi avvicino a piccoli passi mentre lo guardo concentrato sui miei calzini neri con degli arcobaleni fosforescenti disegnati sopra. Mi siedo accanto a lui a gambe incrociate e tiro fuori dal retro dei pantaloni le mie sigarette accendendone una a mia volta.

"Tutto okay a Portland? Sei tornato prima."
"Si è stato tutto più veloce del previsto. Mia madre doveva risolvere delle questioni con mio zio Al e mi ha chiesto di accompagnarla. Niente di preoccupante."

Non so se stia mentendo e se ci sia qualcosa di più grave dietro. Come ho detto praticamente non ci conosciamo per niente. Okay so qual è  il suo colore preferito o la sua pasticceria preferita ma non conosco i suoi sogni, le sue speranze, i suoi segreti, le sue cicatrici...la sua anima.

Pensandoci stupidamente non so neanche quanti anni ha.

"Leila a che pensi?  Vedo gli ingranaggi della tua mente che si muovono velocemente."
"Goethe diceva:<se volete che le persone siano contente di conoscervi, dovete essere contenti voi di conoscere loro e dimostrarglielo>. Io sono disposta a farmi conoscere se tu lo vuoi, ma io ho bisogno di conoscere te. E te lo dimostrerò se tu lo vorrai."

I suoi brillanti e enigmatici occhi verdi mi fissano, colmi di cose da dire ma estremamente crittografate perché io possa comprenderle.

"Quindi mi stai chiedendo di darti dei pezzetti di me e in cambio io avrò dei pezzetti di te?"
"Esatto. Siamo due puzzle e ognuno deve completare l'altro. Ci stai?"
"Si ci sto." Dice senza esitare.

Ho completa fiducia in questo ragazzo. Saranno i ricordi, il mio istinto, il mio cuore...

"Okay ho una domanda allora." Esordisce dopo aver schiacciato il mozzicone nel posacenere.

"Da dove nasce la tua passione per l'astronomia?"

In questo momento mi sento intrappolata. Per rispondere alla domanda dovrei tirare fuori mio padre. Non dico il suo nome da due anni ormai. Ma ho fatto un patto con Kyle, e se voglio conoscerlo devo dare un pezzetto di me.

"Da mio padre, Howard. Era un astronomo e professore di astronomia all'università di Londra." Il mio respiro si accorcia improvvisamente e la mia gola si secca.

Allo stesso tempo pero il mio corpo è come pervaso da una sensazione di sollievo, come se un mattone del muro che avevo costruito con tanta cura fosse caduto.

"Non hai l'accento inglese però tu." Lo ringrazio interiormente per non aver chiesto di mio padre o del perché avessi parlato al passato.

"Si beh ormai è quasi un anno e mezzo che vivo qui. Ho preso l'accento americano." Accendo un'altra sigaretta perché sento i nervi troppo tesi.

"Okay ora sta a me." Dico espirando il fumo. "Perchè hai tutti quei tatuaggi?" Provo a spingermi un po' più sul personale anche io.

Prende un po' di fiato e inchiodando i suoi occhi nei miei dice: "Per coprire le mie cicatrici."

Cicatrici. Plurale. Che cosa ha passato Kyle? Ho cosi tante domande che vorrei fargli ma mi limito a rimanere in silenzio. Il silenzio è un'arma potente, si nascondono tante cose mai dette nei silenzi, si trova il conforto nel silenzio. Ed è questo che volevo fare io. Confortarlo. Dirgli che io potevo capirlo, che anche io ho delle cicatrici e che se gli va potremmo provare a guarirci le ferite a vicenda. E invece c'è solo silenzio.

La mia mano si allunga verso di lui e stringe la
sua con naturalezza. Lui si irrigidisce ma poi fa lentamente scivolare le sue dita tra le mie.

Guardo le nostre mani intrecciate e le vedo incastrarsi alla perfezione tra loro, come se fossero state create apposta per intrecciarsi.

Decido di dargli un altro pezzetto di me e lentamente tiro su l'orlo della maglia che indosso, scoprendo il fianco destro e rivelando una serie di cicatrici sparse.
Dopo avermi guardata per un po, si tira su la maglietta anche lui, fino al pettorale sinistro dove, accanto al tatuaggio di un fiore, colgo una piccola cicatrice rotonda in rilievo sulla pelle. Sembra una bruciatura di sigaretta e la conferma mi arriva poco dopo da lui stesso.

"Le mie invece sono fatte da pezzi di vetro." Gli rivelo.

Si stende sul letto e mi trascina giù con se facendomi stendere accanto a lui. Guardiamo il soffitto ricordando ognuno il proprio dolore, la sofferenza, l'affanno di non riuscire a superare tutto il male che ci era capitato. E il suo profumo mi avvolge come uno scudo. Sa di tabacco e foresta. L'odore che ha la foresta al mattino quando è ancora bagnata dall'umidità notturna. Quando i primi raggi di sole si apprestano ad asciugare le gocce di rugiada dalle foglie.

"In giapponese esiste una parola, "kamorebi", che è intraducibile nelle altre lingue. Sta a significare la luce che filtra attraverso le foglie degli alberi."

Non so perché ho detto questa cosa completamente fuori contesto, ma Kyle non ci fa caso e come al solito mi da corda.

"Da quando sei un'esperta di semantica?"
"Io amo conoscere le parole che hanno significato solo nella propria lingua. Mi piacciono le lingue perché ognuna di loro nasconde parole segrete intraducibili"

"Dis-moi un autre mot intraduisible alors"

Parla francese. Anche Kyle parla il francese come me. Quale altre capacità nasconde? Quanti altri segreti? Kyle è come una lingua nuova che sto imparando e di cui voglio conoscere ogni parola segreta.

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