CAPITOLO 43

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(ho aperto una pagina instagram, errestory_wattpad, mi farebbe piacere se mi iniziaste a seguire anche li. Pubblicherò foto e video e potremo parlare tutt* insieme)

Tu amami come ameresti te
se fossi me e viceversa
quindi male e senza capire niente.
(Amarsi Sfortuna, Lo Stato Sociale)

LEILA'S POV💜

Ci sono giorni in cui mi sento inutile. Una foglia in balia del vento che aspetta di scoprire dove verrà trasportata.

È cosi che mi sento da un po' di tempo a questa parte. In balia della vita.

E poi mi sento costantemente triste. Una tristezza che mi offusca gli occhi e il cuore.

A volte non sento nient'altro che il mio animo sofferente. Voglio solo piangere e scappare via dalla pesante realtà in cui mi sono ritrovata catapultata. E invece rimango ferma immobile, in balia, a pensare. A ciò che ho perso, a ciò che mi aspetta, a ciò che potevo evitare. Ma poi penso che l'autocommiserazione non porta che altro dolore.

Non esiste cura per il dolore. Alcuni dicono sia il tempo. Che il tempo rimargina le ferite e cicatrizza le fratture dell'anima. Ma come si fa se non si ha il tempo?
E poi soprattuto, a che serve evitare di pensare se tanto la ferita continuerebbe a bruciare nonostante tutto?
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"Sei pronta?" Kyle intreccia la mia mano con la sua e fa combaciare i nostri palmi.
Guardo fuori dal finestrino dell'aereo e aspetto di veder sparire New York da sotto i miei piedi.
"Si." No.

Stiamo per decollare per Londra e il cuore mi esplode nel petto. Pompa il sangue ad una velocità assurda ed ho paura che possa collassare da un momento all'altro.

"Sei sicura?"
"Si." No.

Non sono sicura Kyle, non sono sicura per niente. Sono terrorizzata all'idea di dover "vedere" i miei genitori e Landon sottoterra.

Tutto inizia a tremare e sento le ruote dell'aeroplano staccarsi da terra.

Non ce la faccio. Non ce la posso fare. Ho paura. Voglio scendere. Voglio tornare a casa e chiudermi in stanza finché il mio cuore non cesserà di battere.

Stringo forte la mano a Kyle e lui mi regala uno sguardo rassicurante.

Ho 7 ore di volo per calmarmi e trovare la forza necessaria per affrontare ciò che troverò all'atterraggio.
Quando l'aereo si stabilizza, lascio la mano di Kyle e guardo fuori dal finestrino sporco.

"Sai esiste una parola della lingua Inuktitut, lingua parlata dal popolo Inuit in Canada: Iktsuarpok. Letteralmente è l'ansia dell'attesa. Quella sensazione che ti spinge a guardarti intorno per vedere se qualcuno o qualcosa sta arrivando."

"Ces paroles absurdes me manquaient. Tu ne m'en avais pas parlé depuis longtemps." Mi erano mancate queste tue assurde parole. Era tantissimo che non me ne dicevi una.

Un grande sbadiglio interrompe la nostra conversazione.
"Sei stanco?" Vorrei che non dormisse. Vorrei che stesse con me per tutto il viaggio a parlarmi per farmi tranquillizzare.
"Ho preso un sonnifero prima di salire. I viaggi in aereo mi fanno stare poco bene. Ti dispiace se dormo un po'?" Mi chiede con voce dolce accarezzandomi il dorso della mano con il pollice.
"No tranquillo, fai pure." Mento ancora. Si allunga verso di me e mi lascia un morbido bacio prima di distendere il sedile e infilarsi la mascherina per gli occhi.

Cosa faccio per 7 ore per far smettere il mio cervello di pensare?
Di dormire non se ne parla, il mio corpo è troppo teso per rilassarsi.
Tiro fuori la copia de "Il Grande Gatsby" che mi ha regalato Kyle ed inizio di nuovo a sfogliarla.

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