Capitolo XXIII

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Sospiro sollevata quando usciamo definitivamente dalla palestra e ci allontaniamo da quelle due perfide ragazze.

Dopo l'allenamento di oggi sono veramente esausta, non so nemmeno dove sto trovando la forza di camminare, ma nonostante tutto mi sento più serena adesso che Edoardo è qui con me. Più ci penso, più mi sento una sciocca, la cosa è alquanto paradossale, la maggior parte dei miei dispiaceri è causata da lui eppure una parte dei me desidera ardentemente rimanere in sua compagnia.

Fino a una settimana fa stare con lui mi terrorizzava e ancora adesso sono un fascio di nervi ogni volta che mi sta accanto, tuttavia, mi sento come se stessi pian piano diventando dipendente dal brivido perverso in cui sfociano i nostri incontri.

Mentre sono persa nelle mie riflessioni mi rendo conto che siamo proprio di fronte al giardinetto dell'altra volta.

"Hai qualcosa da fare?" domando interrompendo il religioso silenzio mantenuto fino ad ora.

Edoardo mi guarda confuso, gli indico con lo sguardo il parchetto speranzosa che acconsenta al passare del tempo con me in uno dei miei posti preferiti in assoluto. Orami è pomeriggio inoltrato e proprio come l'altro giorno vorrei fermarmi a guardare il tramonto, ma soprattutto vorrei avere l'occasione di parlare con lui.

Mi segue in silenzio mentre io mi incammino felice verso il famoso scivolo giallo, mio grande compagno d'infanzia, dove mi siedo a gambe incrociate poco dopo.

"Non pensavo di dover portare una bambina al parco giochi" sorride scherzando.

"Non sono una bambina, mi piace solo questo posto" abbozzo un sorriso.

"Hai ragione sei la mia bambina" mi guarda dritto negli occhi.

Le guance diventano paonazze per l'imbarazzo, non può aver davvero detto una cosa del genere ...

"Comunque proprio un bel posto, se ci giriamo possiamo chiedere al ragazzo laggiù una dose" mi prende in giro.

"Il tuo sarcasmo tagliente non mi tocca" rido divertita.

Mi piace vedere questo lato di Edoardo, è raro vederlo sorridere e scherzare, forse anche perché solitamente è sempre arrabbiato con me.

"Posso chiederti chi erano quelle due?" chiedo conoscendo già la risposta.

"Quello che sei tu" risponde serio.

"Ovvero una povera ragazza costretta a far tutto ciò che vuoi?"

Sono consapevole di aver rovinato l'atmosfera, ma ormai il dado è tratto, quindi che male c'è se lo stuzzico un po'.

Mi alzo in piedi proprio di fronte a lui che sorride per poi incrociare le braccia in petto.

"Il tuo sarcasmo è patetico" mi rimbecca lui.

"Comunque adoro quando dici di essere costretta a far ciò che voglio" ridacchia avvicinandosi.

"Perché sappiamo entrambi che usi questa scusa come pretesto per far ciò che davvero vuoi".

Le sue dita lunghe e possenti mi sfiorano la pelle, quasi come se volessero farmi una carezza, anche se in realtà queste si limitano a spostarmi una ciocca di capelli dietro orecchio.

Chiudo gli occhi godendomi a pieno il dolce tepore del suo tocco come se non aspettassi altro da tutta la vita.

"Marina e Carolina sono due mie compagne di classe che hanno deciso da sole di appartenere a me" dice con freddo distacco allontanandosi di qualche passo da me.

"Marina sembra stupida" dico senza riflettere, visibilmente a disagio.

"Fidati lo è" sogghigna.

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