La sparizione di Evangeline fu un duro colpo per tutti gli abitanti del bunker. Era difficile capire chi stesse soffrendo di più per quella situazione, dal momento che ciascuno di loro, ognuno a modo proprio, si era sentito tradito dalla strega quando aveva scelto di abbandonarli.
Sarah era riuscita a intercettare la sorella prima che sparisse, era riuscita persino a parlarle, ma, nonostante tutto, la sensazione di abbandono la soffocava. La giovane strega sentiva che quello di Leslie non era stato un vero addio e, anche se non aveva nessun motivo concreto per esserne sicura, aveva la certezza che, prima o poi, sua sorella sarebbe tornata da lei, da tutti loro. Eppure, nonostante questa irrazionale convinzione avrebbe dovuto in qualche modo consolarla, Sarah continuava a soffrire per essere stata lasciata sola, con lo stesso straziante dolore che aveva provato tanti anni prima.
Sam ogni giorno rileggeva le poche righe che Evi gli aveva lasciato, nella speranza di scovare qualche indizio nascosto che si era lasciato sfuggire nelle letture precedenti. Più volte leggeva il biglietto, però, e più si domandava che cosa avesse di tanto importate da fare la sua sorellina e perché sentisse di doverlo, per forza, fare da sola. Era impossibile smettere di pensare a Evi come a una sorella, il fatto che se ne fosse andata senza dare loro una spiegazione valida non cancellava né cambiava l'affetto che nutriva per lei. Il cacciatore si sentiva in colpa e non aveva il coraggio di confessarlo a nessuno, lui conosceva Evangeline meglio di chiunque altro, probabilmente anche meglio di Sarah, ma allora perché non si era accorto che qualcosa non andava? Perché non era riuscito a capire che Evi aveva in mente qualcosa? Soprattutto, perché non era stato capace di cogliere i segnali che lei gli aveva sicuramente mandato, e le aveva permesso di andarsene nel cuore della notte?
La piccola Mary Elisabeth era diventata triste e capricciosa, cosa più che comprensibile dal momento che si era svegliata una mattina e la sua mamma non era più accanto a lei e nessuno aveva saputo rassicurarla sul fatto che la mamma sarebbe presto tornata a casa. Tutto quello che la bambina era riuscita a fare, la mattina del primo giugno, era stato mettersi a piangere e, nei giorni seguenti, il morale di Mael non aveva fatto altro che peggiorare. Le prime settimane furono le più dure, ogni abitudine e ogni routine che avevano costruito come famiglia in quei due anni era stata frantumata dall'abbandono di Evangeline e, per il bene della bambina, dovevano trovare il modo di rimettere insieme i pezzi e ricostruire delle nuove abitudini per donare a Mary Elisabeth la serenità di cui aveva bisogno per crescere, e per proteggerla dal fatto che la dura realtà era che, probabilmente, la sua mamma non sarebbe più tornata a casa.
Dean, come già aveva fatto in passato, dalla mattina dopo la fuga della moglie aveva di nuovo cominciato a vivere come se non avesse mai incontrato Evangeline, solo che questa volta gli risultava quasi impossibile perché dentro il bunker, ovunque voltasse lo sguardo, non faceva altro che incrociare occhi di donna, o di bambina, che erano la copia esatta degli occhi grigi di quella che era stata la sua streghetta, di quegli occhi grigi che tanto aveva amato e che gli squarciavano l'anima anche solo a vederli nel volto della propria figlia. Ogni singola sera, dal primo giungo in poi, dopo aver messo a letto la bambina, aver calmato i suoi pianti e aver trovato il modo di addormentarla, aveva preso la giacca e le chiavi dell'Impala ed era andato a rintanarsi in qualche bar nella speranza di riuscire a dimenticare la moglie con l'aiuto di una bottiglia di whisky scadente o, meglio ancora, di un bel paio di gambe lunghe e affusolate o di labbra rosse e carnose. Ogni notte, immancabilmente, rientrava a casa meno sbronzo di quanto avrebbe voluto e più solo di prima, senza essere riuscito a concludere nulla con la bionda, mora o rossa di turno, pentendosi di aver tentato un approccio, già dopo pochi secondi che aveva cominciato a flirtare.
Nemmeno Castiel riuscì a restare indifferente di fronte alla scomparsa di Evangeline. Era accorso al primo lamento di Mary Elisabeth, nel momento in cui la bambina si era svegliata e non aveva trovato la madre, ed era rimasto interdetto da quello che stava accadendo quella mattina nel bunker. Aveva capito al primo sguardo che qualcosa non andava, c'era troppa agitazione, un continuo andare e venire dei suoi amici da una stanza all'altra, come se nessuno sapesse più quale fosse il posto giusto dove stare. Dagli stralci di conversazione che aveva colto mentre cercava di consolare la bambina, aveva capito che Evangeline se n'era andata, ma aveva pensato sarebbe rientrata a breve, era inconcepibile che la strega avesse abbandonato la figlia e tutti loro. Quando l'angelo capì che Evangeline, prima di andarsene, aveva lasciato un biglietto a ciascuno, ma non a lui, si sentì pervadere da una tristezza di cui non riuscì a comprendere l'origine. Lui era un angelo del Signore, un soldato dell'esercito di Dio e non avrebbe dovuto essere preda di emozioni umane, ma i Winchester, nonostante fossero semplici esseri umani, erano la sua famiglia e l'abbandono di Evangeline lasciava un senso di vuoto che non si sarebbe aspettato di provare. Mentre teneva in braccio Mary Elisabeth e l'aiutava a mangiare la colazione che altrimenti avrebbe rifiutato, Castiel, gli occhi puntati sul pavimento della cucina e la voce carica di impotenza e sensi di colpa, disse
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Strega di sangue
FanfictionPer una strega, un cacciatore porta solo guai. Per un cacciatore, una strega porta solo guai. Cosa succederà quando Dean e Sam Winchester, abituati a cacciare il soprannaturale in tutte le sue forme, scopriranno che la bella ragazza dagli occhi grig...