capitolo due

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AIDEN
Chicago, 19 novembre

Quattro mesi dopo.

I PIEDI SEMBRAVANO due grandi mattoni indistruttibili; mi tenevano incatenato all'asfalto, impedendo ogni ipotetico movimento.

Se provavo ad abbassare lo sguardo però, le due pesanti pietre venivano immediatamente sostituite da un paio di All Star leggermente logore e vecchie.
Non c'era niente a fermarmi, eppure sentivo dentro di me una marea di sassolini pronti a rallentare la mia corsa.
Ogni respiro era pura sofferenza, ogni pensiero annientava la mia mente e ogni minimo gesto dava il via a una serie di lancinanti fitte in tutto il corpo.

Erano passati svariati minuti dal nostro arrivo, ma la volontà di percorrere il viale ed entrare in quella dannata casa era inesistente.

Casa.
Che bella parola del cazzo.

«Puoi rimanere qui a fissarla per sempre, ti assicuro che non riuscirai a trovarci nulla di diverso»
Sentenziò Alexander, affiancandomi dopo aver scaricato i bagagli dall'auto.

«Non ho la minima intenzione di farlo, grazie»

Nemmeno lui era cambiato.
Nulla in quel mondo parallelo sembrava essere mutato nel tempo.
Tutto era rimasto come quando ero partito; uno stupido scherzo del destino volto solo a farmi un torto.

«Allora possiamo entrare?»

Mi voltai verso mio fratello.
Un uomo alto, serio e composto, stretto nel suo completo scuro stirato con una precisione maniacale.

«Sono tutti qui?»

«Si, non vedevano l'ora che tu rientrassi» mi sforzai di non ridergli in faccia, raccogliendo da terra l'unico borsone che fossi ancora in grado di trasportare.

Quando la serratura della porta scattò, la mia mente venne riportata indietro di quattro anni.
Tutto era nell'esatto punto in cui l'avevo lasciato, perfino i pochi granelli di polvere sopra i mobili probabilmente erano stati sistemati come gli avevo abbandonati anni prima.
L'odore era lo stesso e anche la sensazione di vuoto che alleggiava tra i muri.

Il mio sguardo cadde sulle tre foto incorniciate alla parete. Un piccolo Aiden sorridente tra le braccia del fratello maggiore, Amanda al suo decimo compleanno e Martha stretta a papà il giorno del loro matrimonio.

«Siamo arrivati!»
Alex mi sorpassò, dirigendosi con passo controllato verso il grande salone. Si sentivano solo piccole voci confuse, una distorta dall'altra.

Probabilmente ero ancora in tempo per scappare, ma quel quartiere non era mai sembrato così estraneo e labirintico.
Non ricordavo più le scorciatoie, le vie interne e le case di proprietà.
Se fossi corso fuori probabilmente mi sarei soltanto perso come uno stupido imbranato.

Mi arresi, percorrendo passo dopo passo il costoso parquet che mi avrebbe condotto dritto all'inferno.
Le suole cigolavano e le voci si facevano sempre più forti.

Tre. Due. Uno...

«Aiden!»
La ribelle chioma bionda di Amanda attirò immediatamente la mia attenzione.

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