capitolo ventitre

5.3K 179 15
                                    

ELIZABETH
Los Angeles, 24 dicembre

NON ERA UN SOGNO.
Non era una visione e tanto meno un brutto scherzo della mia mente.

Aiden era davvero appoggiato allo stipite della porta e i suoi occhi stavano davvero mangiando i miei con la loro solita sfrontatezza.

In quella notte stellata, la sua anima nera risplendeva come non mai, attirando tutta la luce sul suo volto sorridente.
Il rumore del mio cuore sorpassava quello dei pensieri e il calore che percepivo a fior di pelle non era minimamente paragonabile al calore del clima esterno.

«Che cosa ci fai qui!?»
Sussurrai esterrefatta, sentendomi nuda sotto il suo sguardo attento e manipolatore.
Cercai di proteggermi con la poltrona, mantenendo una distanza enorme.

«Avevo voglia di mare»

Non mi mossi di un millimetro, osservando inerme la sua camminata.

Aveva chiuso la porta, si era voltato verso di me e aveva adagiato lo zaino a terra.
Poi si era mosso, iniziando la lenta agonia che ci avrebbe condotto troppo vicini.

Non riuscivo a respirare e i pensieri arrivavano sconnessi da ogni parte del mio cervello impazzito.

«E avevo voglia di te, forse»

Una scossa di pura elettricità mi passò lungo la spina dorsale, oscurando ogni singola cosa per poter ammirare solo lui.
Era a pochi centimetri da me, la mano vicina al fiocco della mia vestaglia.

«Devo chiamare Amanda!»
Quasi urlai, allontanandomi di corsa da lui.

«No Beth, cazzo aspetta!»

Sentii i suoi passi dietro di me e il pensante rumore delle sue scarpe sul pavimento.
Non ci mise molto a raggiungermi, precipitandosi a capofitto su di me e sul cellulare che reggevo tremante tra le mani.

«Possiamo parlare?»

«Di cosa dobbiamo parlare Aiden? Sei a Los Angeles!»

Nascosi l'oggetto dietro la schiena facendomi fulminare con lo sguardo dal sottoscritto.

«Lo vedo! Ma perché devi avvisare lei?»

«Ti hanno cercato per tutto il giorno! Sei sparito e sono preoccupati»

«Beth smettila, non sono cazzi tuoi»

«Ora lo sono! Sei in casa mia a centinaia di chilometri da Chicago, ti rendi conto?»

«Faccio quello che voglio della mia vita. Se non ho avvisato nessuno è perché non c'era nessuno da avvisare» Proferì lui, allungandosi per poter rubare il telefono dalle mie mani.

Mi dimenai, ma il corpo esile con la quale ero nata non era paragonabile ai muscoli allenati di Aiden.
In due secondi mi aveva già bloccata tra le sue braccia, strappandomi con facilità il cellulare dalla presa.

Quando si rese conto del contatto fin troppo ravvicinato mi lasciò andare, infilando l'oggetto nella tasca dei jeans.

Uno di fronte all'altra, nel soggiorno buio di casa, ci fissammo esterrefatti, uno più incasinato e confuso dell'altra.
Per un secondo sembrò quasi che Aiden non mi riconoscesse più; che si fosse reso conto della cazzata fatta.

ADRENALINE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora