capitolo ventisei

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AIDEN
Los Angeles, 26 dicembre

L'ACQUA SALATA scivolava lungo il mio corpo ad ogni bracciata.
La salsedine impregnava la tuta aderente e le onde avvolgevano il mio corpo ad ogni virata.
La tavola da surf sotto i miei piedi si muoveva ai miei comandi, trasportandomi sopra l'oceano come se volassi.

Sentivo l'aria accarezzarmi la pelle bagnata e il sole riscaldare la superficie limpida del mare.
La mia spalla imprecava, sopraffatta dal dolore, ma io la ignorai, consapevole di dover pagare quel prezzo per essere ancora vivo.

Con una delle infinite spiagge di Los Angeles come sfondo, surfai nella libertà più totale, ritornando a riva solo quando il sole iniziò la lenta discesa dietro l'orizzonte.

Il cellulare segnava le otto di sera e i turisti accampati dalla mattina si erano già rifugiati nei chioschi più vicini per la cena.

Lasciando la tuta legata a metà busto, mi distesi sulla sabbia rovente, appoggiando la testa sullo zaino per poter riposare.

I rumori arrivavano ovattati alle mie orecchie.
Il vociferare delle persone era ben lontano.
La brezza serale rappresentava l'esatta definizione di tranquillità.

In quel preciso momento non ero altro che uno degli infiniti granelli di sabbia che componevano la costa pacifica.
Chiunque avesse guardato il mare non si sarebbe accorto di me e io sarei passato inosservato a chiunque.
Non ero più Aiden Scott, non ero più il secondogenito ribelle e senza regole, ero solo un ragazzo disteso al sole che avrebbe dimenticato tutto tra le onde dell'Oceano.

Chiusi gli occhi e, accompagnato dal vociferare delle onde, mi addormentai.

Non so quante ore passarono, la mia mente si era rifugiata in quei minuti di sonno per sfuggire al mondo esterno e così, quando riaprii gli occhi, non c'era altro che buio intorno a me.
La luna era alta in cielo e la sabbia sulla quale ero adagiato ormai umida.
In lontananza si intravedevano le luci di un chiosco ancora aperto e qualche persona uscire ed entrare da esso.

Mi misi a sedere e dopo essermi strofinato gli occhi una decina di volte, accesi lo schermo del cellulare.

11:37

La mezzanotte era vicina e io avevo passato quasi quattro ore a dormire ai piedi di una vecchia palma.
Osservai la pelle cosparsa dai brividi e le dita delle mani prendere un colore sempre più vicino al blu.

Raccolsi tutto da terra, recuperando dallo zaino il mazzo di chiavi della vecchia Ford noleggiata il giorno prima.
Tutto era al suo posto e ancora a piedi nudi mi diressi verso il parcheggio all'estremità della spiaggia.
Quella zona di Los Angeles non era particolarmente frequentata.
I locali erano aperti e la gente si muoveva tra vie del quartiere, ma nulla poteva essere paragonato al continuo caos di Chicago.

Lasciai tutto nei sedili posteriori e solo dopo aver infilato frettolosamente i lacci dentro le sneakers e una felpa pesante, mi diressi nel locale più vicino.

Dakota Beach

Due tavoli occupati, un bancone vuoto e un uomo pelato dietro di esso.
Quando mi sedetti sullo sgabello, mi lanciò un'occhiataccia, sbattendo sul ripiano il canovaccio consumato.

«Cosa vuoi?»

«Una birra»

«Hai ventun'anni?»

«Si capo»

«Sette dollari»

Risi, appoggiando i gomiti nel lucido legno della quale era composto il bancone.
«Per una birra?»

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