capitolo trentadue

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ELIZABETH
Los Angeles, 31 dicembre

L'aereo era decollato con quarantacinque minuti di ritardo.
La valigia pesava il doppio dalla mia partenza e tutto a causa del cibo preparato e impacchettato dalla mamma per la mia sopravvivenza a Chicago.

Con le lacrime agli occhi -come sempre d'altronde- avevo salutato i miei genitori, scusandomi in silenzio per il disastro che ero diventata in quell'ultimo periodo.

E nei quaranta minuti in sala d'attesa, era arrivato anche lui.
Quando avevo scorto la sua figura tra gli altri turisti, un sospiro di sollievo era uscito dalle mie labbra.
Ci avevo creduto in ogni secondo, reprimendo la vocina nella mia testa che suggeriva il contrario.

Vestito sportivo e con un misero zaino sulle spalle, si era avvicinato al mio posto, ridacchiando davanti la marea di bagagli al mio fianco.

«Hai portato l'intera camera?» sorrise, indicando il cuscino rosa del mio letto. «Masha in quale valigia è?»

Gli feci la linguaccia, sobbalzando quando il suo corpo si chinò sul mio, incastrandomi tra la panchina e le sue braccia, pretendendo un bacio sulle labbra.

Era un gesto così... così familiare.

Rimasi senza fiato, sorridendo sulle sue labbra morbide.

«E questo per-»

«Ne avevo voglia» si sedette alla mia sinistra, lasciando il suo bagaglio sopra le mie valigie «Aspettati qualcosa di più nei prossimi minuti»

Mi girai di scatto «Aiden!»

«Elizabeth!»

Ci stavamo guardando, entrambi con un sorriso impertinente sulle labbra.

«Non dirmi che eri convinta del fatto che avremmo giocato a carte per quaranta minuti in sala d'attesa»

«No ma...»

«Ma cosa? Non hai idea di quanti bambini sono stati concepiti nei bagni dell'aeroporto»

Per poco non soffocai, cercando con lo sguardo qualche sconosciuto intento ad ascoltare la nostra -meglio sua- conversazione.
Nessuno sembrava particolarmente scandalizzato, così mi tranquillizzai.

«Sei esperto vedo, in che Stato sei stato concepito Scott?»

«Da mio padre non puoi pretendere altro che il missionario, figurati se si sarebbe sforzato di farlo in un posto pubblico»

La nostra conversazione non aveva il minimo senso, eppure.

«Vuoi sapere un segreto?» le pozze blu di Aiden si posarono su di me, ma più precisamente sulle mie labbra. Annuì appena, passandosi una mano tra i capelli biondi.

«Io non ho mai fatto sesso in aeroporto» sussurrai, arrossendo come un peperone.
Vidi l'esatto istante nella quale il sorriso di Aiden si allargò e i muscoli delle braccia si tesero.

Allungò il braccio sullo schienale del mio posto, sporgendosi ancora di più nella mia direzione.

«Dovrai ricordarmi una cosa Beth» annuii «cancellare questa cosa dalla lista, subito»

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