capitolo trentatre

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AIDEN
Chicago, 31 dicembre

Sapevo che l'avrei trovata lì.
Ancora prima che scappasse da noi due, sapevo dove si sarebbe rifugiata.

Nella villetta bianca in periferia di Chicago dove eravamo nati e cresciuti, c'era un grande albero secolare.
Gloria mi aveva raccontato un sacco di volte di quella pianta e di come si ergesse alta in cielo da molti anni prima della nascita di Alexander.

Probabilmente era sempre stata lì e noi, con la costruzione di quella casa, avevamo solo infranto la sua quiete.

Nel 2006, appena compiuti dieci anni, papà aveva assunto una squadra di operai per costruire una casa sull'albero da poter utilizzare nei pomeriggi di gioco.
Era un mio regalo ma nonostante tutto l'avevo sempre diviso con Amanda.
Nell'angolo destro c'erano i miei fumetti, i miei soldatini e le mie macchine telecomandate.
Nell'angolo sinistro i suoi libri, le sue bambole e i suoi acquarelli.

Quando scesi dal taxi, restai fermo ad osservare la facciata di casa. Le tende erano tirate e nessuna macchina era parcheggiata nel vialetto sterrato.
Due buste bianche sporgevano dalla cassetta delle lettere, leggermente rovinata dagli anni trascorsi.

Raggiunsi la veranda con grande calma, sorridendo davanti le luci di natale appese da Gloria per il trentesimo anno di fila.
Sempre gli stessi colori, sempre la stessa scritta luminosa.

Lasciai lo zaino davanti la porta d'entrata, iniziando a percorrere il perimetro della casa per poter raggiungere la grande quercia in giardino.

E lei era lì. Amanda, stretta in un giubbotto invernale rosa, se ne stava seduta all'uscita della casetta con i piedi a penzoloni e lo sguardo perso sul cielo innevato dell'Illinois.

«Nemici in avvicinamento?» la sorpresi, facendomi fulminare dal suo sguardo gelato.

«Si, uno proprio qui davanti»

«Semmai sei tu che hai invaso la mia fortezza»

«Era abbandonata da anni, ora è mia»

Mi avvicinai alla scala di corda appesa lungo il tronco della quercia, ma prima che potessi anche solo afferrarla, una palla di neve mi colpì dritto in testa.

«Non scherzo Aiden! Vattene»

Frammenti di ghiaccio mi ricoprivano la chioma bionda, ora umida e bagnata.
Non mi arresi e dopo aver percorso tutti scalini -con annessi un'altra palla di neve- riuscii a raggiungere l'entrata di quella vecchia ma robusta capanna.

Amanda non mi guardò nemmeno di sfuggita, aspettando che mi sedessi al suo fianco per potersi allontanare di qualche centimetro.

Fissammo insieme il giardino di casa dall'alto, aspettando che uno dei due prendesse l'iniziativa e pelasse.
Alla fine, dopo dieci minuti, cedetti io.

«Mi dispiace»

«Usi sempre le stesse parole Aiden, ormai non ti credo più»

«Uso sempre le stesse perché sono le uniche vere»

Gli occhi azzurri -come i miei- di Amanda si scontrarono con il mio volto teso. Le fiamme bruciavano ancora dentro di lei e sapevo che non si sarebbero attenuate tanto facilmente.

«Per cosa ti dispiace? Per avermi mentito? Per essere sparito senza dire nulla? Per non avermi mai chiamato o esserti informato della mia vita?» era un fiume in piena «Per cosa Aiden? Per esserti perso il mio diploma o per non aver risposto a nessuna delle mie lettere?»

Una lacrima le rigò la guancia ma prima che potesse impedirmelo gliel'asciugai.
La mia mano fredda accarezzò la sua guancia bollente, obbligandola solo dopo ad appoggiare la testa sulla mia spalla.

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