capitolo trentaquattro

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AIDEN
Chicago, 31 dicembre

«Aiden» sentire la voce di quello stronzo non mi era mancato, percepire il sangue pulsare nelle vene e l'incredibile voglia di picchiare qualcuno, si.

Probabilmente Amanda aveva ragione quando diceva che ero cambiato, che in un certo senso ero cresciuto.
Elizabeth aveva smussato i miei angoli con delicatezza e senza che me ne accorgessi nemmeno.
Vedere quel verme troppo vicino a lei aveva però risvegliato il vecchio me.

E la cosa mi piaceva da morire.

«Aiden un cazzo, allontanati»

«Non ho paura di te, se sono stato clemente la prima volta non vuol dire che lo sarò anche la seconda»

«Non mi hai denunciato solo perché sei un raccomandato del cazzo» sbottai, compiendo un passo nella sua direzione.

Se non fosse uscito da solo dall'ascensore l'avrei tirato fuori a forza.

«Tieni troppo al posto di lavoro nell'ufficio di mio padre per poter anche solo muovere un muscolo»

«Lo stesso padre che tiene più a me che a te?»

Bruciava.
In una parte tanto lontana del cuore, quell'affermazione scottava.

«Fai un piacere a tutti Logan, levati dalle palle» solo allora lanciai un'altro sguardo a Elizabeth, stretta alla parete destra dell'ascensore con le braccia incrociate al petto.

«Devo portare Lizzy alla festa»

«Stai sereno, non le manca il passaggio»

Il moro davanti a me sorrise, mettendo a dura prova la poca pazienza rimasta. Per fortuna uscì dal cubicolo lasciando che Beth mi raggiungesse.

«Sarà sempre così Elizabeth? Girerai con il tuo cane da guardia per paura che io mi avvicini?»

Respirai a fatica, iniziando a stringere con troppa forza la mano di lei.
Le nocche iniziarono a diventare bianche e solo dopo aver sentito il tocco delicato di Elizabeth sul mio avambraccio capii di dover rallentare.

La mora si diresse verso le scale, evitando anche solo di guardare il ragazzo alle nostre spalle.

«Stai scappando? Davvero Beth, finisce così?»

Quel nomignolo, stretto tra le sue labbra, faceva schifo.
Quel nome era mio.
Elizabeth era Beth solo e soltanto per me, dannazione.

La ragazza mi trascinò con se, pregandomi in silenzio di non intervenire, di fare l'unica cosa che mai mi sarei aspettato di compiere; lasciar perdere.

«Quando ti conviene corri dal fidanzatino vero? Vedremo quando finirà, correrai da me come hai fatto un mese fa. Ti faceva comodo che le mie mani ti palpassero il culo proprio dentro questo ascensore vero, Beth?»

E se la mia attenzione aveva iniziato  lentamente ad abbandonare il pagliaccio alle nostre spalle, in quel preciso istante la miccia si accese e non attese nemmeno un secondo per far esplodere la granata.

Lasciai la mano di Elizabeth e con due falcate raggiunsi il corpo del ragazzo. Gli afferrai il colletto della costosa camicia di marca e in due passi lo scaraventai di nuovo dentro l'ascensore.
La sua schiena emise un rumore sordo contro la parete in lamiera e le sue mani si appoggiarono al mio petto per riuscire ad allontanarmi.

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