capitolo trentanove

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ELIZABETH
Chicago, 20 gennaio

Diciannove ore e sarebbe ripartito per sei lunghi mesi.
Ero stata io a spingerlo, con il cuore dolorante avevo dovuto pronunciare quelle parole guardando i suoi occhi e il suo volto esausto.

«Dimmi di sì perché sennò rimango qui»

Si Aiden, si.
Rimani qui con me, svegliati al mio fianco ogni mattina, abbracciami la sera tardi, baciami ogni volta che vuoi.

Ora che ti ho trovato devo già lasciarti andare?

Eppure non sarebbe stato corretto. Lui mi aveva regalato il futuro, io non potevo interrompere il suo.
Amava il suo lavoro e finalmente sapevo che amava anche me.
Mi amava davvero.

Quindi, mancavano diciannove ore, non giorni o mesi... ore.
Eppure Aiden mi amava, questo poteva bastare.

«Questo posto è una bomba!» squittì Amanda, barcollando nella mia direzione sui suoi tacchi viola chilometrici «Aiden non mi è sembrato al settimo cielo ma vederlo ora al bancone con tutti gli altri mi fa pensare proprio il contrario! Quello stronzo sa bene come fingere»

Annuii ancora, voltando la testa nella sua direzione.
Chino sul tavolo da biliardo si preparava a colpire la palla colorata mentre Alexander, Jace e i suoi vecchi amici delle superiori ridevano e scherzavano intorno al tavolo da gioco.

Organizzargli una festa d'arrivederci e obbligarlo a seguirmi al locale non era stata forse l'idea del secolo ma dopo avergli sorriso e promesso una fantastica notte di sesso -secondo le sue regole- il nervoso era magicamente scomparso dal suo volto.

E in quel momento era felice, ci avrei giurato.

«Tesoro, tutto bene?» Amanda mi strinse il braccio nudo, riportandomi con i piedi per terra.

«Certo! Stavo solo pensando al fatto che Aiden mi abbia pregato in ginocchio di non organizzargli questa festa, invece...» cercai di ridere, mascherando la cupola d'angoscia intorno a me.

«E invece l'hai abbandonato laggiù tutto soletto con donne mezze nude a scorrazzare qua e là» le mani di Amanda raggiunsero la mia schiena, spingendomi delicatamente verso il salone.

«Per questo non ho fatto venire Steven, sicuramente avrebbe osservato un po' troppo queste bellissime cameriere»

«Sei una psicopatica»

«Elizabeth Evans!»

«Si?»

Non mi lasciò fuggire, stretta nella sua presa fui costretta ad avanzare, presentandomi agli occhi di tutti con il mio colorato drink analcolico e un sorriso da ebete in volto.

Arrossii violentemente, pregando che tutti riprendessero a parlare come se niente fosse.
Ovviamente non accadde e gli occhi di tutta la vecchia compagnia di Aiden rimasero incollati a me.
Jace, Ash, Dusty e Richard mi studiarono come se fossi una perfetta cavia da laboratorio.

Nemmeno le luci soffuse del locale potevano mascherare il mio imbarazzo.

In quel esatto momento tutto di me mi parve sbagliato.
I capelli, il trucco, il mio abbigliamento erano l'esatto opposto delle loro aspettative.
E come cinque anni prima, la ragazzina timida e impacciata non era niente agli occhi dei cinque.
Non esisteva nemmeno nella mente di quei grandi ragazzi di quinta superiore.

«Ragazzi, lei è Elizabeth» Aiden appoggiò la stecca alla superficie del tavolo, venendomi incontro «Veniva alle superiori con noi, era in classe di Amanda»

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