capitolo ventotto

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AIDEN
Los Angeles, 27 dicembre

«Caffè doppio senza zucchero» ordinai, tamburellando le dita sul bancone.
I piccoli occhi scuri della donna dietro di esso mi squadrarono in malo modo.

«Aggiunga anche una bottiglia d'acqua e una ciambella glassata» le sorrisi appena «e una al cioccolato e una brioche alla marmellata»

Quando mi voltai verso i tavoli vuoti del bar, Elizabeth dormiva ancora appoggiata alla spalla di Jess.
Quest'ultimo sorseggiava il suo latte macchiato in tranquillità, ascoltando il blaterale senza sosta di Anastasia.

Non gli conoscevo nemmeno da un giorno eppure mi ritrovavo ad essere più riconoscente nei loro confronti che a tutte le persone frequentate in precedenza.

«Sono otto dollari e ventisei» le porsi una banconota da dieci, aspettando che infilasse la mia ordinazione nella busta di carta.

«Può tenere il resto»

«Gentile, il mio turno di notte ora ha un senso»

Lasciai cadere il discorso, fuggendo al più presto dalle grinfie di quella donna isterica.
Lunatico e asociale lo ero anche io ma fino a quel punto sperai di non arrivarci mai.

Appena arrivai al tavolo, appoggiai l'ordinazione sopra di esso, sedendomi della sedia vicino a quella della riccia.
Jess mi guardò per un secondo, spingendo subito dopo, con grande delicatezza, il corpo di Elizabeth nella mia direzione.
Quest'ultima brontolò e dopo aver sospirato due parole senza significato, appoggiò la guancia sulla mia spalla destra.

«Grazie ragazzi, vi devo sicuramente più di un giro»

«Tranquillo fratello, non ci capitava una notte così interessante dal liceo penso» ribadì Luke, mordendo il pezzo di pizza comprato lungo la strada.

«Concordo, se non fossi entrato al Dakota probabilmente ora sarei senza più un soldo»

«Solo perché non sai giocare a Spalla, coglione» Jess ricevette una sberla in piena guancia, ritornandola diretta a Luke.

In pochi secondi riuscii a finire il mio caffè, desideroso di uscire all'aria aperta per accendere una sigaretta.
L'orario sul mio cellulare segnava le cinque meno venti. I primi raggi di sole cominciavano a intravedersi tra l'oscurità della notte e le auto iniziavano ad aumentare nelle corsie della strada difronte al bar.

«Chi è lei?» domandò infine Anastasia, riportandomi di colpo alla realtà.
Senza volerlo mi ero già girato verso Beth, osservandola dormire serena con le braccia strette introno al busto.

Il vestito bianco era sporco di fango e le scarpe del medesimo colore ormai da buttare.
Non sapevo ancora nulla della serata, ma non vedevo l'ora che si svegliasse per farle un interrogatorio infinito.
Non era una cosa da me, ma dopo il disastro accaduto qualche ora prima dovevo pur fare qualcosa.

Cosa le passava dentro quella piccola testa rotonda?

«È Elizabeth» risposi appena, evitando lo sguardo di tutti.

«La tua-»

«No, è solo la migliore amica di mia sorella»

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