capitolo ventuno

4.8K 167 16
                                    

AIDEN
Chicago, 23 dicembre

QUEL GIORNO, lei avrebbe compiuto quarantotto anni.

Solare, sorridente e premurosa, mamma avrebbe spento quarantotto candeline in quella fredda giornata invernale.

Peccato che non ci sarebbe stata nessuna festa.
Peccato che nessuno avrebbe festeggiato più il suo compleanno.
Non le avevo mai fatto gli auguri, non le avevo mai regalato uno stupido biglietto disegnato interamente da me.
Come avrebbe reagito? Le sarebbe piaciuto?

Era questo che girava nei miei pensieri davanti quella classica lapide in marmo.
Risplendeva in un grande prato spoglio, con un mazzo di girasoli finti adagiato alla sua sinistra.
L'incisione dorata riportava il suo nome e sotto due date con una piccola frase poetica ma estremamente banale.

23/12/1973 - 22/02/1997
"che il tuo ricordo viva per sempre in mezzo a noi"

Leggere la data del mio compleanno su quel blocco di marmo faceva terribilmente male.

Tutto era iniziato quel giorno.
Il peccato mi aveva sempre caratterizzato.

Tirai fuori dalla tasca il nuovo accendino comprato, sbloccando la fiamma davanti il mio volto.
Il cimitero era deserto e il silenzio che mi circondava rendeva la situazione ancora più intensa.

«Tanti auguri mamma.
Vorrei averti abbracciata almeno una volta»
Soffiai sulla piccola luce, esprimendo un banale desiderio da quattro soldi.

Pace nel mondo? Salute e felicità?
No, per quello ero ancora troppo egoista.

Quando mi abbassai per poter appoggiare il mazzo di fiori comprato, il rumore di un bastoncino spezzato mi fece ritornare alla realtà.
Con uno scatto mi voltai, incrociando i vecchi e stanchi occhi di Edward.

Se ne stava immobile a qualche passo da me, stretto nel solito completo Armani e cappotto in pelle animale. La mascella era tesa e le rughe in volto evidenti.

«Te lo sei ricordato» sussurrò a malapena, dubitando sulla mossa successiva da compiere.

Lo ignorai, adagiando i fiori alla base della lapide.
Venti rose bianche.

«Io non ho comprato i fiori»
Ormai era al mio fianco, intento a parlare con un muro che non sarebbe mai stato abbattuto.

Sentivo i nervi infuocati e i denti premere eccessivamente gli uni sugli altri.
Se non fosse stato per la fasciatura improvvisata da Elizabeth, sarei riuscito a infilzarmi anche la mano con le unghie.

«Lei adorava il giorno del suo compleanno.
Diceva che per una volta poteva essere la protagonista e che nessuno avrebbe potuto toglierle questo ruolo»

Vedere mio padre sorridere era estremamente raro e in quel momento mi sembrò quasi un miraggio.
Avevo così tante domande da fare a quell'uomo.
Tutto il mio odio e la mia rabbia repressa prima o poi sarebbero uscite e avrei voluto davvero che ricadessero su di lui.

Odiavo il fatto che mi importasse così tanto.
Odiavo essere schiavo della sua opinione e soffrire per l'abbandono che mi aveva riservato.

Era l'unico genitore che avessi mai avuto.
Perché lui non provava per me quello che schifosamente sentivo io?

«Tra qualche minuto arriva tuo fratello...»

ADRENALINE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora