16.GOMMA

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Sbuffo per l'ennesima volta e inizio a tastare il tavolo luminoso alla ricerca della gomma, senza alzare lo sguardo dal foglio sotto di me.

Sono al tavolo luminoso in fondo al corridoio vuoto della scuola da più di un'ora e ancora non sono riuscita a sistemare il mio disegno.

Guardo la ragazza che, in lacrime, i capelli mossi dal vento, una rosa in mano, mi osserva dal foglio. La sua tristezza lo specchio della mia.

Il problema è che non riesco a disegnare la mano che tiene il fiore. Ho fatto qualche bozzetto, ma non riesco a capire quale sia il problema.

Volendo potrei tornare in classe, ma preferisco rimanere qui da sola, cuffie nelle orecchie e nessun'altro.

Ho ricalcato una mano, ma non riesco a sistemare il disegno. Prima il fiore, poi le dita troppo piccole, poi il dorso della mano storto.

Sbuffo nuovamente per poi alzare lo sguardo dal disegno per cercare quella maledetta gomma.

Ma anziché la gomma trovo di fronte a me, intento ad osservarmi dall'altra parte del tavolo illuminato, niente di meno che Samuele, il mio tormento da anni.

La mia piccola, e una volta bianca, gomma viene lanciata in aria dalla sua mano per poi venir ripresa al volo.

I suoi occhi castani non si staccano dai miei e il suo solito sorriso soddisfatto compare sul suo volto.

"Ridammi la gomma, Samuele" dico tornando a guardare il disegno, nessuna voglia di stare ai suoi giochetti.

Il pezzo di gomma rotola fino a giungere davanti al mio foglio, mentre la sua voce riempie il corridoio.

"Cosa succede, Sofia?" mi chiede premuroso, quello sbalzo nel nostro rapporto che odio con tutta me stessa.

"Non ci riesco" sospiro stringendo la gomma in una mano.

Sento i suoi passi e in pochi attimi è al mio fianco. Alzo lo sguardo su di lui e osservo il suo volto concentrato alla ricerca di quell'errore che a me invece è sfuggito.

Osservo il suo profilo, la linea della sua mandibola, lo zigomo costellato di lentiggini.

Il naso dritto e le labbra sottili leggermente dischiuse.

Le sopracciglia leggermente curvate per la concentrazione. La ruga che si staglia al centro della fronte, coperta in parte da ciuffi di capelli castani.

"È il polso" asserisce convinto senza spostare il suo sguardo su di me.

"Cosa?"

Prende con delicatezza la mia mano, quella che impugna la matita, e la guida lentamente premendo in modo da lasciare segni di grafite al suo passaggio.

La sensazione della sua pelle sulla mia mi trasmette scariche elettriche per tutto il corpo, la mia mano brucia a contatto con la sua, fredda.

"Era troppo largo" spiega una volta finito.

"G-grazie" sussurro senza guardarlo.

"Come siamo finiti così?" mi chiede dopo attimi di silenzio, scostandosi un poco e voltandosi verso di me, ma io non faccio lo stesso.

Rimango a guardare il disegno mentre con le mani torturo la matita.

So a cosa si sta riferendo, il ricordo di ieri sera impresso nella mia mente, ma faccio finta di nulla.

"Così come?"

"Lo sai, Sofia." Sbuffa, ma poi comincia a spiegare: "Come siamo finiti ad insultarci per poi abbracciarci? A feririci per poi medicarci? A far piangere l'altro per poi asciugargli le lacrime?"

Deglutisco non sapendo cosa dire.

So benissimo cosa intende, ma non so se voglio ammetterlo. So cosa intende perchè lui è l'unico che voglio picchiare e insultare quando mi fa stare male e allo stesso tempo voglio zittire baciandolo quando parla troppo.

È l'unico che sa curarmi una volta che mi ha ferito, che sa uccidermi con una parola e farmi rinascere con un gesto.

La sua mano prende la mia facendomi mollare la presa sulla matita, per poi farmi voltare verso di lui.

Mi solleva il mento con due dita e fa incontrare i nostri sguardi.

Solo ora noto che le sue iridi, che ho sempre visto marroni, non lo sono per niente. Ora che la finestra accanto a noi fa entrare un fascio di luce che li illumina noto le screziature dorate, miele e ambra, che li decorano.

"Non lo so" rispondo alla sua domanda senza riuscire a guardare altrove.

"Non lo sai..."

La sua mano gelida, in contrasto con il calore del suo sorriso e del suo sguardo, scosta una ciocca dei miei capelli biondi da davanti al mio viso e la porta con lentezza estenuante dietro all'orecchio.

"Io credo tu lo sappia invece" asserisce in un sussurro mentre lancia uno sguardo al corridoio vuoto per poi ritornare a guardarmi.

Ha ragione, lo so benissimo, ma non lo ammetterò.

Il suo volto si avvicina lentamente al mio e io chiudo gli occhi in attesa di qualcosa che non sapevo di volere così tanto.

Sento il calore delle sue labbra sfiorare le mie, ma la campanella suona all'improvviso facendoci spaventare e separare. Un fiume di studenti si riversa all'istante nel corridoio pronti a tornare a casa.

Non incrocio il suo sguardo.

Mi volto e stacco il foglio dal tavolo, prendo la matita e il temperino.

"Devi... devo andare..." sussurro per poi girarmi e avviarmi verso la classe.

"Sofia."

La sua voce ferma mi blocca in mezzo al corridoio e io non riesco a non voltarmi.

"La gomma." Sorride per poi tirare il pezzo grigio verso di me.

La prendo al volo e sorridiamo entrambi, nessuno intenzionato a parlare di ciò che è successo.

"Grazie."

Mi volto e me ne vado, la gomma stretta in un pugno premuto contro il cuore.

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