95. LUTTO

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Si dice ci siano cinque fasi del lutto: la negazione, la rabbia, la contrattazione, la depressione e infine l'accettazione. Ma non è così che funziona, non è così facile.

Non sono fasi distinte, non passi i primi mesi a negare, poi i successivi arrabbiata e così via fino all'accettazione. No. Sono un cocktail indistinto che ti accompagna per tutta la vita, veleno che ti scorre nelle vene e ogni tanto raggiunge il cuore, portandoti di nuovo, dopo quasi dieci anni, a negare con le lacrime agli occhi tutto ciò che è successo. 

E allora ci sono giorni in cui ritorna la negazione, in cui entri in casa e quasi ti sorprende trovarla vuota perché non è vero che lui se ne è andato, lui è ancora qui e magari se saluti ad alta voce ti risponderà. Ci sono giorni in cui basta una foto per crollare, entrare in un abisso che pensavi di aver superato ma che è sempre lì e improvvisamente lacrime ti bagnano il viso senza che tu possa fermarle. E tu vorresti solo urlare che non è vero, che non può essere andata così, che il cielo non si è preso qualcosa di tuo e che quelle lettere incise sul marmo non formano il suo nome, che quella foto che ti guarda in silenzio non può essere la sua: perché come può la sua vita essersi spezzata per davvero?

E poi ci sono giorni in cui il dolore si tramuta in rabbia, subito dopo aver accettato che non si può più fare nulla, in cui guardi le stelle e gridi contro un Dio al quale non credi più. Gli urli che non è giusto, che hai pregato, che non doveva andare così, che nel mondo c'è gente peggiore che ancora respira mentre lui non può più farlo. Rabbia e fuoco nelle vene, ti bruciano le guance con le lacrime che cercano di buttare fuori un po' del dolore che ti mangia viva.

E poi ci sono i giorni di contrattazione in cui esci di casa e ti dici che va bene così, che devi vivere per lui e così farai. Giorni in cui il suo ricordo ti schiaccia, ma tu cerchi di portartelo dietro, nascondendolo un po' per non lasciarti sopraffare. Lo accantoni in un angolo della tua mente, senza accettarlo e senza negarlo, osservandolo da lontano e cercando di trovare qualcosa di tollerabile in quello scambio così iniquo che ti è stato imposto.

E poi ci sono giorni in cui la depressione ti fa visita e tu ti ritrovi seduta per terra, gli occhi chiusi, serrati, perché ovunque guardi lo vedi e il tuo piccolo cuore spezzato non può resistere. Giorni in cui il dolore ti assale, ma senza negare ciò che è successo, senza quella speranza vuota e tagliente che ti dice che non è così. Ti lasci abbracciare dal dolore, cullare da esso e dal pensiero che nulla tornerà, che la tua vita è cambiata per sempre e che non ha più senso vivere se accanto non hai lui. Ma ti dici che va bene così, che forse se ti lasci avvolgere dal dolore lo avrai più vicino, che pensarlo tra spine dolorose è comunque più confortante del vuoto che ti ha lasciato nel petto.

E poi giorni in cui guardi la sua foto appesa al muro, ne accarezzi i contorni e sorridi teneramente, con il cuore gonfio di spine ma ancora in vita. Giorni in cui prendi per mano il dolore, i ricordi, le lacrime e le tieni al tuo fianco, conscia che esistono, che ti accompagneranno per sempre. Ma cerchi di pensare alle cose belle che avete vissuto insieme, di ricordare il sorriso nei suoi occhi e non la morte nel suo cuore, di accettare che la vita dà e toglie e che non c'è modo per tornare indietro, che per sopravvivere devi imparare a convivere con il dolore, consapevole di avere un pezzo in meno accanto e dentro di te. 

Giorni così si mischiano tra loro, cambiano addirittura di ora in ora, ti assalgono, ti travolgono, ti spezzano e ti ricompongono, ti accompagnano e ti spintonano, come se fossi nel bel mezzo di una tempesta in cui, ogni tanto, tra pioggia, grandine, fulmini e vento forte e freddo, spunta anche un raggio di sole che ti accarezza il cuore e che porta il calore dei suoi occhi.

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