Capitolo 2

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Centocelle, 30 ottobre 2019

La mia sveglia l'indomani mattina suonò alle cinque, come al solito: l'ho sempre messa presto per sbrigare le faccende domestiche senza perdere tempo; avevo dimenticato di toglierla, non avevo molti motivi per tenerla: tuttavia, quando aprii la finestra, mi resi conto che forse avrei dovuto mantenere questa sana abitudine.
Il mondo alle cinque del mattino ha qualcosa di magico: gli uccellini cantano, l'aurora preannuncia l'alba e le poche persone in giro sembrano vagare in una terra in mezzo tra il mondo dei sogni e quello reale.
Misi la vestaglia perché faceva un po' freddino, mi diressi in cucina e preparai la Moka per il caffè per me e per Laura, che verso le sei si sarebbe alzata per cominciare la sua giornata in banca.
Quella era la prima mattina che avrei preparato la colazione in una casa diversa dalla mia: pensai che almeno i primi giorni sarebbe stato un po' strano, ma che poi ci avrei fatto l'abitudine.

                                      ***

Laura mi raggiunse poco dopo: aveva il risveglio difficile, come quando lei, Elena e io eravamo coinquiline ai tempi dell'università; finché non beveva il caffè, girava per casa come una zombie.
<< Buongiorno... >> commentai, mentre versavo il caffè nelle tazze.
<< Sei già sveglia? >> mi domandò sbadigliando.
<< Dimentichi che cinque anni di vita casalinga mi hanno insegnato che nessuna ora va sprecata, a partire dal primo mattino >> risposi.
<< Pensavo che non avessi dormito dopo la piazzata di ieri >> mi disse cominciando a sorseggiare il caffè.
La guardai male: per un'oretta ero riuscita a dimenticare la figuraccia fatta alla Panetteria Mainetti la sera precedente, ma la Mancuso mi aveva drammaticamente riportata alla realtà; temevo che tutti ne avrebbero parlato, che non sarei potuta uscire per strada che tutti mi avrebbero additata.
A un certo punto il mio telefono emise il fischio di WhatsApp: era Fabiola, voleva uscire per sentire la mia versione dei fatti sul divorzio da Giuseppe.
Speravo che almeno a lei e al resto dei Lojacono non fosse arrivata la storia della mia piazzata.
<< Chi è? >> chiese Laura.
<< Fabiola, vuole sentire la mia versione dei fatti. Chissà Giuseppe che cazzo le avrà raccontato >> risposi.
<< La sua versione, dando tutta la colpa a te, sicuramente. Ed è proprio per questo che devi riprenderti, a partire da ora. Devi rimetterti in carreggiata, trovarti una casa tutta tua e un lavoro >> replicò la Mancuso.
<< Mi stai cacciando cosicché avrai casa libera per incontrare il tuo amante segreto? >> feci sarcastica.
<< Ti sto dando una scossa. E molto probabilmente te la darà anche Fabiola tra qualche ora. Ed Elena pure non si esimerà. O vuoi che tutto il quartiere ti compatisca? >> mi fece presente lei.
<< Mi vado a preparare >> scattai, infastidita al solo pensiero di essere guardata come la povera ex moglie tradita e sfigata.
<< E comunque gli alimenti me li deve! >> pretesi, mentre cambiavo stanza per andare a darmi una sistemata.

                                     ***

Quella mattina non c'era il sole e faceva ancora un caldo pazzesco per essere pieno autunno, ma tuttavia decisi di indossare la giacca nera e gli occhiali da sole: non volevo guardare negli occhi nessuno.
Ma mentre stavo per lasciare Via degli Aceri - dov'era casa di Laura - per imboccare Via dei Castani, una voce maschile anche troppo nota mi sorprese alle spalle.
<< Buongiorno, piccola! >> esclamò un giovane con i capelli dritti come spaghetti, gli occhi nocciola e la divisa da autista dell'Atac.
<< Che vuoi? >> sospirai.
Era Marco Venturi, autista di autobus che con le ragazze denominavamo "il mio stalker personale": l'avevamo conosciuto alla festa di Capodanno del 2014 organizzata in casa di una nostra amica dell'università al Pigneto; ero già fidanzata con Giuseppe e lui era anche tra gli invitati ma, complici il casino generale dell'anno nuovo e diversi giochi di società alcolici, eravamo finiti a letto con altre persone: l'altra persona, nel mio caso, era stato Marco; mentre io ero andata avanti, lui era rimasto ossessionato da me e non perdeva occasione di sottolineare quanto mi amasse.
Peccato che non ricambiassi minimamente, che anzi lo considerassi sottone e anche un po' ridicolo: solo che quando ero sposata, la presenza di Giuseppe era servita da repellente ad ogni suo tentativo di osare; adesso che avevo divorziato chissà che libertà si sarebbe preso.
<< Ho saputo del tuo divorzio. E di quanto ti ha distrutta, visto ciò che hai fatto ieri alla Panetteria Mainetti >> disse candidamente.
Avrei voluto buttarlo sotto la prima macchina che passava di lì.
<< Grazie per la tua assoluta sensibilità >> risposi con calma fintissima.
<< Se ti va possiamo uscire insieme. Così parliamo un po' di noi, delle nostre ferite... Nessuno meglio di me può capirti! >> dichiarò, facendo riferimento all'episodio del passato che lo aveva ridotto così: la sua quasi moglie lo aveva lasciato proprio sull'altare per dirgli che voleva farsi suora; un vero e proprio trauma: da quel giorno era finito in analisi.
Avrei potuto accettare seduta stante, anche solo per una scopata come il Capodanno 2014: ma ero abbattuta, non così disperata.
<< Poi ci penso >> mentii, passandogli oltre.
<< Ci conto! >> mi gridò dietro speranzoso, mentre mi allontanavo.

                                     ***

Vidi Fabiola salutarmi all'incrocio tra Via dei Castani e Piazza dei Mirti: era l'ora prima che attaccasse il suo turno al centro estetico.
<< Tesoro, ti vedo bene! >> esclamò, mentre ci baciavamo su entrambe le guance.
<< Lo dici per cortesia? >> domandai in tono onesto.
Ci mancava soltanto che una delle poche persone che mi volessero bene mi cominciasse a trattare con ipocrisia.
<< Ma no, è un dato di fatto. Le vedo tutti i giorni le altre donne divise, quando vengono al centro a farsi il restyling. Certe smandrappate... Tu comunque da moglie divisa ti stai mantenendo bene! >> constatò, guardandomi con occhio clinico.
<< Spero di non diventare smandrappata anch'io allora... Ho perfino dato corda a Marco Venturi... >> confessai.
<< Ma no, non è disperazione. Fai finta che è la tua buona azione quotidiana! >> mi suggerì, mentre ci dirigevamo al bar dei Siciliani di fronte a Piazza dei Mirti.
Ero terrorizzata da come mi avrebbero guardata le persone lì presenti: la Panetteria Mainetti era nelle vicinanze, magari la voce si era sparsa.
<< Io gli occhiali non me li tolgo, Fabi >> premisi, mentre prendevamo posto.
<< Sì, ho saputo. Ma non ti preoccupare, la gente del quartiere troverà altro di cui parlare. Anche perché ho un'idea per farti entrare dalla porta principale! >> esclamò la mia ex cognata.
<< Cos'hai in mente? >> le chiesi subito.
<< Al centro hanno bisogno di qualcuno che tenga la contabilità: tu sei laureata in Economia, no? Io posso parlare con Cristina, magari ti tiene in considerazione! >> replicò Fabiola.
Cristina Ferri era la proprietaria del centro estetico, nonché la moglie di Roberto Ascalone, istruttore di pilates della palestra dove si erano consumati i tradimenti di Giuseppe: Fabiola seguiva il corso e mi aveva detto che lo chiamavano Manilunghe perché, con la scusa degli esercizi da correggere, allungava le mani sulle alunne, specialmente se erano giovani, carine e in ritardo con i pagamenti delle rette mensili; si vociferava che quelle palpate fossero la differenza data dalla dilazione.
Mi ero sempre chiesta se la Ferri non sapesse niente, o se sapesse tutto e facesse la gnorri per il bene dei loro figli.
<< Non penso che sarò la sua prima scelta. Insomma, sono cinque anni che non lavoro, e poi chissà quanti curriculum stellari le avranno mandato... >> obiettai giustamente.
<< Io ci provo, poi ti faccio sapere. Adesso mi comincia il turno! >> dichiarò la Lojacono in Ventresca, salutandomi.
<< Io vado a fare la spesa. Laura sarà anche una donna in carriera ma il suo frigo piange, e io un'altra cena ordinata su Glovo non la mangio! >> replicai, salutandola a mia volta.

                                     ***

Mi stavo dirigendo ad Ipercarni, uno degli ultimi supermercati di Centocelle sopravvissuto alla rivoluzione dei locali per gli aperitivi, cercando di andare in Via delle Giunchiglie passando più velocemente possibile per Piazza dei Mirti; mi augurai di essere abbastanza mimetizzata da non farmi riconoscere.
<< Anita Cecchi! >> mi sentii chiamare da una voce che ricordavo molto vagamente.
Avevo paura di girarmi ma lo feci, e dietro gli occhiali da sole vidi un giovane uomo che ricollegai alla sera precedente: era il fornaio della Panetteria Mainetti, di cui avevo praticamente insultato il lavoro.
<< Oddio... >> dissi solamente.
<< Ci siamo conosciuti ieri sera, in maniera molto rocambolesca >> specificò lui.
<< Cazzo, mi dispiace... Non volevo parlare male dei tuoi dolci, ma avevo divorziato due ore prima, avevo bevuto e poi quando qualcuno fa un dolce diverso da come lo faccio io divento pazza... >> mi giustificai.
Sarei voluta scomparire, e se avesse dirmi che ero una stronza avrebbe avuto anche ragione.
<< Ho chiesto di te alle tue amiche, Elena Castroni del negozio vicino San Felice e Laura Mancuso della banca. Mi hanno detto che ti avrei trovata in giro per commissioni e così ti ho cercata perché voglio proporti un lavoro! >> mi confessò.
Lo guardai come se venisse da Marte: avevo detto peste e corna del suo dolce davanti a mezza Centocelle e lui, per tutta risposta mi voleva assumere.
<< Un lavoro? >> domandai giustamente sbigottita.
<< Al forno, sotto la mia supervisione. La voce è arrivata al signor Mainetti, il quale si è messo in testa che sei una specie di genio dei prodotti da forno >> mi spiegò.
<< Pensavo di essere da ricovero >> ribattei in tono sarcastico.
<< Si dice che i geni siano anche un po' matti. Comunque comincerai domani, ma il tuo battesimo del fuoco sarà la sera... >> commentò.
<< Halloween? >> indovinai.
<< Esattamente: ti aspetto domani alle nove! A proposito: mi chiamo Antonio Patriarca >> concluse, lasciandomi letteralmente a bocca aperta.
Da un disastro era scaturito il primo passo verso la mia nuova vita.

Quante stelle ha il mio cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora