Capitolo 20

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Centocelle, 30 novembre 2019

Ciò che era accaduto la sera precedente mi parve un sogno: fu il suono dei messaggi di WhatsApp, appena accesi lo smartphone, a riportarmi alla realtà; il destinatario era Roberto Manilunghe:

Mi hai letteralmente spiazzato, ieri sera! Quando ci rivediamo?

In preda a un misto di sensazioni dovute alla ricorrenza del mio divorzio, avevo fatto l'amore con il mio insegnante di pilates nelle docce dello spogliatoio femminile, esattamente dove Giuseppe aveva consumato i suoi tradimenti ai miei danni; la mia voleva essere solo una rivalsa, uno sfizio tuttalpiù: pensavo di essere altrettanto sfizio per Ascalone, mai avrei immaginato di potergli creare dipendenza.
Pensai che non stavamo facendo niente di male, che era inutile farsi tanti problemi: lui era sposato, ma sua moglie era l'amante di Carlo Mainetti; io uscivo con Marco, ma avevo ancora in testa il mio ex marito.
Eravamo due persone libere di fare ciò che volevano, così gli comunicai la risposta:

Quando ne avrò voglia, ma a lezione non dobbiamo destare sospetti.

Ci mancava soltanto che lo venissero a sapere le mie compagne di corso, specialmente Fabiola e le Mainetti che mi avevano sempre difesa: se avessero saputo che avevo girato la situazione a mio favore, sarei passata automaticamente da vittima a puttana, senza passare per le categorie intermedie.

                                      ***

Uscii di casa per andare al lavoro e vidi qualcosa che mi fece rimanere a bocca aperta: pochi metri davanti a me c'era Marco, evidentemente non in servizio perché era vestito elegante, in giacca e cravatta come se stesse andando ad una cerimonia.
Lo seguii a distanza, per sapere cosa gli passasse per la testa: il mio cervello mi cominciò a suggerire che potesse avere un'amante segreta, e più che gelosa fui infastidita; quando ero sposata non si faceva scrupolo a farmi le poste, e ora che stavamo mezzo insieme gli saltava in mente di mettermi le corna?
Non potevo certo ergermi a giudice, la mia coscienza non era la più pulita del mondo in quel momento, ma io alle spalle avevo un divorzio, lui solo una quasi-moglie che lo aveva abbandonato sull'altare per farsi suora: almeno il danno non era stato fatto nel loro caso.
Per fortuna il mio telefono squillò.
<< Pronto? >> risposi.
<< Ma che hai perso la strada per la panetteria stamattina? >> fece Antonio con voce ironica e sarcastica.
<< Se ti dicessi il motivo del mio lieve ritardo non ci crederesti mai: ho visto Marco in tiro, mi sa che ha un'altra >> ammisi.
<< Allora te ne frega un minimo, di quel povero ragazzo! >> ne dedusse, facendomi venire il nervoso: da che pulpito veniva la predica, lui che ricascava nelle trappole della sua ex Teresa con tutte le scarpe, mentre Stella, poveraccia, si struggeva al solo pensarlo.
<< Mi frega di non essere presa per il culo: e sappi che passerò la mia pausa a pedinarlo, se necessario! >> promisi, prima di attaccare.
Mi diressi alla Panetteria Mainetti, col cervello completamente annebbiato.

                                      ***

Ero numerosissima, e il mio malumore si ripercuoteva sul lavoro: impastavo prodotti da forno e assumevano le forme di cuori spezzati e facce tristi; Antonio si avvicinò a me.
<< Allora ce l'hai un cuore... >> commentò, cercando di essere simpatico.
Gli lanciai un'occhiata tale da incenerirlo.
<< Ti sembra divertente? Cos'ha il signorino Marco, non lo soddisfo? >> mi sfogai, smettendo di impastare.
<< Sei sicura che non vuoi riposarti un attimo? >> propose, stavolta in tono più comprensivo.
Lo guardai, grata per quell'improvvisa gentilezza.
<< Grazie. Ma penso che dovrò andare fino in fondo a questa storia: se davvero mi tradisse anche lui, nel giro di un mese, sarebbe il colmo >> dichiarai, sospirando.
<< Intendi stalkerarlo? >> mi chiese.
<< Beh, Marco faceva lo stesso, quand'ero sposata. Gli ricambierei il favore >> risposi, pensando che alla fine gli avrei reso pan per focaccia.
Patriarca mi guardò a lungo, prima di rispondermi: piantai i miei occhi celesti nelle sue iridi marroni tendenti al nero, che sembravano leggermi dentro.
<< Non fare cazzate, però. Cerca di calibrare la tua reazione alla sua importanza per te >> mi consigliò allora.
Effettivamente Marco e io avevamo cominciato a frequentarci, mica stavano davvero insieme: ma era una questione di correttezza nei miei confronti, dovevo vederci chiaro.
<< Cercherò di essere cauta >> promisi.
Non sapevo se però avrei mantenuto quella promessa.

                                    ***

All'ora di pausa non mangiai, avevo lo stomaco chiuso: mi misi fuori dalla panetteria, per localizzare dove fosse.
Per fortuna lo vidi apparire, sempre in giacca e cravatta, che dalla parte di Via dei Castani dopo Piazza dei Mirti veniva nella mia direzione, senza però guardarmi, anzi con gli occhi fissi davanti a sé, come se andasse ad una cerimonia.
Appena mi fu di spalle avanzai poco dietro di lui, che attraversava sicuro l'arteria principale di Centocelle, in direzione della chiesa di San Felice da Cantalice: ricordai che lì era avvenuto il suo quasi-matrimonio; forse era masochista e voleva rievocare quel ricordo traumatico, o forse voleva sposarmi senza che ne venissi informata e già stava prendendo accordi col prete.
La cosa che mi stupì era che nessuno, a parte me, trovasse strano ciò che Venturi stava facendo: era piuttosto insolito che un autista dell'Atac, in servizio generalmente anche di sabato mattina, se ne andasse in ghingheri per la strada più trafficata del quartiere, senza che nessuno dei passanti mormorasse all'orecchio dell'altro quanto il soggetto in questione fosse pazzo.
Continuando a seguirlo sul marciapiede destro, vidi che superava il ristorante di pesce, il negozio delle Castroni, l'emporio cinese, il concessionario e notai che costeggiava la Piazza di San Felice, in direzione della chiesa: con immenso stupore vidi che entrò; presi un grosso respiro e decisi di entrare anch'io.

                                       ***

Lo trovai seduto in una delle panche centrali, verso le prime file.
<< Marco, ma che ci fai qui? >> gli domandai sottovoce, mentre mi avvicinavo.
Il mio tono però non era abbastanza basso: infatti Don Oreste, il parroco, mi lanciò un sonoro "Shh" per invitarmi al silenzio.
<< È il mio rituale, da sette anni >> mi rispose tranquillo, mentre mi sedevo accanto a lui.
<< Il tuo rituale? >> gli chiesi allora.
<< Già. Il 30 novembre del 2013 era la data del mio matrimonio. Avevo appena iniziato a guidare gli autobus, ed ero innamorato della mia futura moglie, talmente tanto da non aver capito che aveva altre esigenze. Celestiali, direi >> mi spiegò, con una nota di malinconia nella voce.
<< E quindi tutti gli anni, il 30 di novembre, vieni qui in chiesa? >> volli sapere.
<< Come prima tappa sì. Poi vado a bere qualcosa, e poi a casa a mangiare, insieme a mia madre. Ma quest'anno è diverso. Quest'anno ci sei tu... >> commentò, guardandomi negli occhi.
Fu difficile sostenere quello sguardo: dopo che ero stata con Roberto nelle docce dello spogliatoio femminile della palestra, mi sentivo ancora più in colpa nei confronti di Venturi.
<< Se vuoi la tradizione la possiamo continuare a casa mia >> proposi, per non sentire la voce della mia coscienza.
Marco sorrise e si alzò, io feci lo stesso e lo guidai fino al mio nuovo appartamento dove, in barba a qualsiasi tradizione precedente, ci spogliammo di tutti i vestiti che avevamo indosso prima di arrivare in camera da letto, nella quale finalmente lo accolsi dentro di me, dove sognava di arrivare da una vita.

Quante stelle ha il mio cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora