Capitolo 54

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Centocelle, 18 marzo 2020

Erano passati nove giorni dall'inizio del lockdown generalizzato, e già ci sembrava di vivere dentro ad un tempo indefinito: passato l'entusiasmo dei primi giorni, in cui ci sembrava tutto nuovo, quelle abitudini così scandite e così particolari avevano cominciato a logorarci il cuore, il cervello ed il fisico; ogni volta che dovevamo uscire di casa - i turni in panetteria, la spesa, l'immondizia da buttare e i disinfettanti da comprare - tra mascherine e guanti ci sembrava di essere chirurghi in sala operatoria.
E poi avevo nostalgia delle mie amiche, della palestra, del contatto umano e di quella vita che da quando avevo divorziato da Giuseppe era diventata frenetica, ma mi piaceva e mi aveva portato a conoscere quello che ancora oggi è l'uomo della mia vita.

                                     ***

<< Cazzo, che dolore! >> si lamentò Stella, togliendosi un laccetto della mascherina dall'orecchio e massaggiandosi.
<< Rimettitela! >> comandò Fabio, temendo che la sua fidanzata potesse contagiarlo.
Antonio e io ci guardammo, come se il nostro collega fosse diventato più matto di quanto non fosse già di suo.
<< Comunque è una bella idea, quella di cucinare per le persone che non possono muoversi di casa! >> esclamò la Marini.
<< Pensa che Anita mi ci ha svegliato due notti fa, per propormi questa cosa >> raccontò Patriarca.
<< E questo è poco, noi che possiamo dovremmo fare di più. Insomma, se c'è gente che non potrà uscire di casa fino al 3 aprile... >> dichiarai.
<< E andrà sempre peggio. Ve lo dico io: ancora una settimana e smetteranno di cantare ai balconi, cominciando a capire che questa è una cosa seria >> sentenziò il più pessimista tra i miei colleghi.
In un altro tempo gli avremmo detto di non gufare, ma quella mattina nessuno trovò il coraggio di replicare a quelle sue parole, dure come macigni ma trasudanti verità.

                                    ***

La pausa pranzo era il momento più triste: con i cibi nei portapranzi, all'aperto e con le mascherine calate, consumati in silenzio.
Fino a qualche tempo fa erano ore liete, a cui si aggiungevano sempre i nostri amici e succedeva sempre qualcosa di rocambolesco; adesso sembrava che fossimo tutti attenti a manifestare i nostri sentimenti, come se ci fossimo trasformati in gente trattenuta.
Odiavo quel clima, ma soprattutto dovevo dare ragione a Fabio quando manifestava il suo fastidio per la gente che cantava fuori dai balconi, perché non li sopportavo nemmeno io: era dal 10 marzo che i nostri vicini si estrinsecavano in performance che sembravano i "Talenti incompresi" delle prime edizioni di X Factor, quando lo show musicale andava ancora in onda sulla Rai.
Quel pomeriggio, quando tornai a casa per la seduta con Dante, che si sarebbe svolta su Skype, sentii un coro che intonava "La Canzone del Sole" di Lucio Battisti.
<< Non è possibile... >> mormorai, mentre mi levavo mascherina e guanti e andavo a lavarmi le mani.

                                     ***

Alle tre presi la chiamata di Dante su Skype.
<< Allora, come va la clausura oggi? >> lo salutai.
<< Potrebbe andare peggio. Tra i casi umani allo studio e quelli a distanza non c'è molta differenza, a parte che alle spalle hanno i loro habitat naturali. I peggiori >> rispose.
<< Perché, cosa fanno i migliori? >> domandai, ma avevo paura di ciò che stava per rivelarmi.
<< I migliori si danno le arie da intellettuali, facendo i collegamenti con lo sfondo delle librerie, magari le uniche che hanno in casa >> mi raccontò.
<< Come riesci a sgamare che non tutti sono eruditi? >> chiesi con un tono tra il serio e lo scherzoso.
<< Perché sono fidanzato con una giornalista, che è anche una delle tue migliori amiche >> mi ricordò, e io sospirai al ricordo dell'ultima giornata passata tutti insieme.
<< Come va la convivenza con Antonio? >> mi chiese poi.
<< Va, con tutte le particolarità del caso ovviamente. Avrei voluto cominciarla in condizioni normali, sicuramente mi avrebbe dato meno fastidio un paio di calzini in giro piuttosto che le lamette da barba con schiuma e peli ancora incastrati dentro, che lui si è dimenticato di buttare... >> confessai.
<< Noi maschietti siamo un po' disordinati, ma nemmeno voi femminucce scherzate, sai? Le creme depilatorie che puzzano, i cosmetici che occupano un intero mobile del bagno e le piastre e arriciatrici che fanno saltare la corrente in continuazione... >> elencò.
<< E dai, le nostre peculiarità non possono essere peggio di quelli che cantano "Ma il cielo è sempre più blu" di fronte... >> protestai.
<< È bello che hai un approccio ottimista alle magagne della convivenza, ma non le prendere sottogamba: passare molte ore insieme potrebbe essere come una pentola a pressione pronta a far saltare il coperchio >> mi ammonì.
Pensai che stesse esagerando, ma quel monito mi rimase in testa per tutto il giorno.

                                     ***

Antonio tornò poco dopo da Ipercarni, con il carrello carico di buste.
<< Hai fatto le provviste per l'inverno? >> lo presi in giro.
<< Voglio uscire meno del necessario, possibilmente >> rispose seccato, mentre tirava fuori le buste.
<< Hai la frutta e la verdura? Le devo mettere a bagno nell'Amuchina... >> gli chiesi.
Lui mi passò mele, pere, arance e kiwi, oltre che lattuga, pomodori, carote e sedani; aprii la bottiglia di Amuchina liquida e cominciai a riempire il tappo fino a 50 millilitri, quando un odore sgradevole mi invase le narici e mi indusse a tossire.
<< Ma che hai preso l'alcol a 90 gradi? Quante volte ti ho detto di prendere quello a 60? >> sbottai.
<< Sì, così non disinfettiamo un cazzo... >> berciò.
<< Almeno non rischiamo di morire intossicati >> commentai sottovoce, mentre riprendevo il mio lavoro e Antonio apriva la finestra della cucina per cancellare l'odore dell'alcol: le parole di Dante risuonarono prepotenti nella mia mente, anche se cercavo di scacciarle.

  

Quante stelle ha il mio cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora