Capitolo 52

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Centocelle, 4 marzo 2020

Da quando eravamo tornati, il clima si era fatto sempre più teso a causa delle notizie sul Coronavirus che giungevano dai quattro angoli del mondo: il virus, appartenente allo stesso ceppo della Saars e dell'Aviaria, aveva varcato i confini della Cina e andava diffondendosi a macchia d'olio in tutti i paesi del globo, anche in Italia; la zona più a rischio rimaneva il Nord Italia, ma qualche caso c'era già anche al centro: da dopo il Festival di Sanremo era caccia al Paziente Zero, colui che aveva portato inconsapevolmente il Covid-19 nel Belpaese.
In Cina e in Giappone già c'erano persone che giravano con delle mascherine chirurgiche, di quelle che avevano sempre usato contro lo smog, e qualche volta capitava di vederne qualcuna anche in Italia: un po' li sfottevamo, pensavamo che fossero esagerati.

                                       ***

Gli esagerati si trovavano anche tra noi: quella mattina Fabiola e Sofia parlavano, la Ventresca aveva un disinfettante in mano.
<< L'Amuchina è meglio del Lysoform, dici? >> fece stupita la Mainetti.
<< Per forza. Elimina il 99,9% dei batteri. Io coi ragazzi lo uso sempre >> spiegò l'una.
<< Certo, se la metti su questo piano... >> rifletté l'altra, mentre mi avvicinavo.
<< Mica starete parlando di disinfettanti, spero... >> sbuffai, andando loro incontro.
Il clima era molto più disteso in palestra, da quando Roberto Ascalone era stato spedito in Sicilia: al suo posto era venuta una collega del corso serale.
<< Non dovresti prendere sottogamba il ruolo dei disinfettanti in questo periodo, Ani >> mi rimproverò Fabiola.
<< Io non lo sto prendendo sottogamba i disinfettanti, Fabi. È che odio le scene di delirio di massa che si stanno verificando ultimamente. Una volta ho visto all'altezza di via dei Platani una ragazza che non solo aveva la mascherina, ma anche dei guanti neri di lattice! >> affermai.
<< Forse questo è esagerato >> concordò Sofia.
<< In ogni caso abbiamo il migliore ospedale antivirus d'Italia, lo Spallanzani. Ve lo dico io, siamo in una botte di ferro! >> si intromise Flora, facendo piombare il silenzio sull'argomento.
Pensai che forse aveva ragione lei.

                                    ***

Notai che la situazione stava degenerando nel momento in cui vidi degli uomini che fissavano dei distributori di liquidi a muro.
<< È disinfettante >> mi disse Chiara, venendomi incontro.
<< Disinfettante a muro? >> domandai, pensando che i Mainetti fossero impazziti.
<< È un'idea del signor Aurelio, per evitare che il Coronavirus possa veicolare dentro la panetteria >> mi rispose.
<< Ma chi cazzo vogliono che lo porti, il virus, qui dentro? >> sbuffai esasperata, entrando nelle cucine, dove i miei colleghi erano già al lavoro.
<< Buonasera... >> li salutai.
<< Cerchiamo di non parlare troppo >> disse Fabio, e prima che potessi rispondere, Antonio mi si avvicinò.
<< Non ti preoccupare, amore. Non è impazzito, ma i disinfettanti a muro l'hanno suggestionato. È diventato bacchettone anche con Stella >> mi spiegò, mentre gli altri due procedevano in silenzio, in quelle cucine sempre piene di chiacchiere.
<< Quando andrò da Dante, giuro che farò il suo nome. Deve essere assolutamente seguito >> affermai, strappando un sorriso al mio fidanzato.

                                   ***

L'esordio di Dante mi fece cadere le braccia.
<< Amuchina? >> mi chiese, proponendomene un po'.
<< No, non anche tu! >> mi disperai, stanca di quel Covid-19 che mi sembrava più che altro uno spauracchio.
<< Non sono fissato, è che con queste notizie preferisco tutelarmi. E dovresti farlo anche tu. Dai, metti le mani a coppa... >> rispose, e io ubbidii, mentre una grossa goccia di quel fluido dal vago sentore di limone cadeva tra le mie mani, e io le sfregavo tra loro come se me le stessi insaponando.
<< Alla panetteria hanno messo i disinfettanti a muro >> gli raccontai.
<< È stata un'idea di mio padre. Carlo e Sofia gli sono subito andati appresso, mentre mia madre confida nei medici dello Spallanzani. Lo sai che non so più a chi dare ragione? >> replicò, mentre ci accomodavamo.
<< Fabio, il mio collega del forno, non vuole che parliamo durante il lavoro. Ha letto su Internet che se parliamo emaniamo dropless, ossia goccioline in sospensione. Gli sputazzi, insomma >> dichiarai, dipingendolo come un caso clinico.
<< Credo proprio che presto ne vedremo tanti, come lui. E noi psicologi saremo proprio in prima linea... >> ipotizzò il ragazzo della mia migliore amica nonché mio analista, preoccupato per quel futuro che molti già vedevano incerto.

                                     ***

Alle cinque del pomeriggio Flora Mainetti ci fece radunare tutti in sala per ascoltare la lettura di un decreto speciale emanato dal presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte.
<< Ecco, sta per prendere la decisione... >> commentò sottovoce Stella, guardando avidamente ogni gesto del politico dentro lo schermo.
Conte disse che sarebbe stato prudente, almeno per dieci giorni, rimanere in casa il più possibile, e uscire solo per le priorità fondamentali, come andare al lavoro, fare la spesa e curarsi all'ospedale.
Che bisognava stare attenti, molto attenti, perché l'epidemia di Coronavirus aveva raggiunto lo stato di pandemia mondiale.
<< Cazzo, allora non era delirio di massa... >> constatai, mentre cercavo con lo sguardo Antonio: quei suoi occhi scuri che incontravano i miei mi infusero la sicurezza che in quel momento mi mancava.

                                     ***

Quando finimmo di lavorare, ci preparammo per tornare a casa, ma prima che potessimo separarci mi prese le mani.
<< Non vuoi proprio lasciarmi andare via, eh? >> lo presi in giro.
<< Dai, è una cosa seria. Mi era venuta in mente da quando siamo tornati da Rutigliano, solo che non avevo mai trovato il coraggio... >> esordì.
<< Vuoi sposarmi? Perché è troppo presto, per me, per un altro matrimonio... >> saltai su.
<< Ma no! Lo so che ci conosciamo ancora da troppo poco tempo, però proprio per questo voglio proporti di andare a convivere >> continuò sorridendo.
<< A convivere? A casa mia o tua? >> domandai, colta di sorpresa.
<< A casa tua sarebbe meglio, che è più grande e più vicina alla panetteria. Questa occasione potrebbe essere il nostro banco di prova, la possibilità di dimostrarci che insieme funzioniamo. Che ne dici? >> mi propose.
Quelle parole mi rese talmente felice che non risposi subito, sorridendo e basta: un'ambulanza sembrò riempire l'assenza di suoni umani tra noi.
<< Ne sarei molto felice. Andiamo a fare i bagagli? >> replicai, mentre lo prendevo sottobraccio e ci dirigevamo verso casa sua.
Il mondo si stava per imbarcare in un viaggio di cui non si sarebbe saputo l'esito per molto tempo, ma in quel momento non lo immaginavamo, né ci importava: in quel momento eravamo solo noi due a contare.

Quante stelle ha il mio cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora