Centocelle, 29 ottobre 2019
L'atto legale che costituì la fine del nostro matrimonio venne ratificata in uno studio in Via dei Castani, poco dopo Piazza dei Gerani, il capolinea dei tram 19 e 5, alle diciotto e trenta.
Firmare le carte del divorzio mi diede una sensazione strana, e potei notare che nemmeno Giuseppe aveva una bella cera: avevamo comunque passato cinque anni di vita insieme, non era poco.
Poiché due giorni prima era entrata in vigore l'ora solare, uscimmo che era già notte.
<< Fa effetto, però... >> commentò non appena ci chiudemmo il cancello alle spalle.
<< Ci sei voluto arrivare tu. Se non mi avessi tradito non ti avrei mai lasciato. E adesso non so se ti fa effetto che hai perso me, o una serva fidata >> lo provocai.
<< Non dire cazzate. Volevo una moglie, mica una serva. In casa ti ci sei messa volentieri, mica ti ho obbligata >> mi ricordò.
<< Appunto, perché l'ho voluto. Ma per tua madre il mio doveva essere un obbligo >> puntualizzai.
<< Che c'entra la mamma? >> mi chiese, anche se sapeva già la risposta.
<< C'entra che si è sempre messa tra di noi, e tu invece di tirarti dalla parte mia, le sei sempre stato sodale. Ma avevi sposato me, non lei! >> gli rinfacciai.
Era sempre stato attaccato alla madre, come ogni figlio maschio italiano medio, ma ai miei occhi era sempre parso un legàme morboso.
<< Pensala come ti pare. Lo vuoi un passaggio fino a casa? >> mi fece. Per casa intendeva l'appartamento di Laura Mancuso, una delle mie migliori amiche, che mi avrebbe ospitata finché non avessi trovato un lavoro e quindi anche un'indipendenza immobiliare.
<< Non ti preoccupare, ho la macchina >> declinai.
In fondo non era più mio marito da un quarto d'ora, non avrebbe avuto molto senso farmi accompagnare a casa da lui.***
La parte peggiore doveva ancora venire però: la telefonata con mia madre, che voleva assolutamente sapere com'era andato il divorzio.
Lei non sapeva neanche cosa significasse, in quanto era sposata con mio padre da trent'anni; o meglio, lui era un martire e lei una despota.
<< Come vuoi che sia andata? Era un divorzio come tutti gli altri! >> sbuffai, distesa sul letto della stanza degli ospiti a casa di Laura.
<< No, è la riprova che avevo ragione! L'ho sempre detto che quel Giuseppe era un troglodita che ragionava con il... >> sentenziò mia madre.
Stava per dire qualcosa di sconcio, ma la fermai in tempo.
<< Mamma! >> la rimproverai.
<< Comunque non era l'uomo giusto per te. Né mi piaceva la sua famiglia, quel branco di peracottari... >> continuò lei.
<< Su questo concordo >> feci.
<< Ma perché non te ne sei rimasta a Firenze, come tua sorella? Perché non hai sposato anche tu qualcuno con cui sei cresciuta, con cui sei stata fidanzata tanto tempo? >> ricominciò con la solita storia di Emma che aveva capito tutto sposando Fabrizio, che conosciamo da quando eravamo bambine.
<< Perché le persone cambiano e sinceramente a me non andava di passare la vita con Ernesto Conti? >> la delucidai.
Al mio fidanzato del liceo volevo bene, ma le nostre famiglie ci vedevano con l'anello al dito già da piccoli e questo mi metteva l'ansia.
<< Ti saresti risparmiata un sacco di rogne. Non avresti incorniciato la laurea al muro per farle prendere polvere. Non staresti a casa della tua amica a cui fai evidentemente pena. Ma sopratutto sei stata dentro casa per cinque anni, cinque anni fuori dal mercato del lavoro in cui devi assolutamente reinserirti! >> cominciò ad elencare.
<< Vabbè, ci sentiamo domani! >> la liquidai, interrompendo la chiamata.
Poi girai la testa dalla parte del cuscino e urlai: odiavo ammetterlo, ma una parte del suo discorso era sensata; dovevo cavarmela da sola, da quel momento in poi.***
Speravo di rimanere in silenzio almeno un po', quando la porta della stanza si aprì di colpo.
<< Sveglia sveglia, bella addormentata! >> esclamò Elena Castroni, l'altra mia migliore amica. Figlia della proprietaria di un negozio di abbigliamento all'inizio di Via dei Castani, sul marciapiede sinistro che parte dalla chiesa di San Felice da Cantalice, ha sempre sognato di fare la giornalista e all'epoca era fidanzata con Federico Stanzi, un giovane rider che non si era mai fatto scrupolo a provarci con me anche davanti a lei, solo che era troppo ingenua per accorgersene.
<< Che volete? >> berciai nei confronti di lei e di Laura, decisamente troppo euforiche per i miei gusti, quella sera.
<< Stasera si esce! >> continuò la Castroni, prendendomi per un braccio per farmi alzare dal letto.
<< Non voglio... >> mi ribellai.
<< Hai divorziato, ma la tua vita non è finita, anzi: è appena cominciata! >> rincarò la dose Laura, che invece lavorava nella banca di fronte a Piazza dei Gerani.
<< Siete due zecche collose... >> borbottai.
<< Faremo finta di non aver sentito... Dove si va, avevi detto? >> fece la Mancuso ad Elena.
<< Al nuovo locale aperto in Piazza dei Mirti, la Panetteria Mainetti! >> rispose quest'ultima, sapendo che ci sarebbe stata una mia reazione.
<< Hai detto panetteria? Ci sono passata davanti qualche volta. Vengo solo per vedere se fanno i dolci e i salati buoni. E spero abbiano del vino... >> mi accordai.
Elena e Laura si guardarono complici, facendo dei sorrisi furbi.
<< Allora dovrai essere la più figa del quartiere. Andiamo! >> decise la Castroni, tirando fuori da una busta un abito a fiori proveniente dal negozio di sua madre.
La Mancuso stava già disponendo i prodotti cosmetici davanti allo specchio.
Non avevo più scampo.***
Non avevo voglia di uscire né tantomeno di incontrare nessuno: i Lojacono conoscono tutti a Centocelle, e viceversa; ero certa che in poche ore tutto il quartiere avrebbe saputo del mio divorzio e si sarebbe diviso tra chi mi avrebbe compatita e chi invece mi avrebbe dato addosso, accusandomi di essere una moglie poco furba a lasciare il proprio marito in pasto alle amanti.
Tuttavia, quando scendemmo dalla macchina di Elena, ebbi l'impressione che tutti stessero pensando a qualsiasi cosa meno che agli affari miei: la Panetteria Mainetti, aperta da pochissimo, attraeva già una marea di gente; i tavoli all'aperto e quelli al chiuso erano quasi tutti occupati, e le lampadine gialle davano un'aria di festa perenne: dopotutto il ponte di Ognissanti era vicino, con tanto di Halloween al quale mancavano due giorni.
<< Avete visto quanta gente? >> cinguettò Laura, cercando un tavolo libero in mezzo a quel marasma.
<< Certo che ho visto. D'altra parte tra due giorni sarà Halloween, e fino a qualche anno fa ci si mascherava e si andava tra Piazza Bologna e San Lorenzo a fare le sette del mattino. Adesso invece si va sotto casa a piangere i mariti fedifraghi ed è già tanto se si rincasa a mezzanotte >> risposi caustica.
<< E dai, è solo un apericena. Fatto apposta per dimostrare che non ti piangi addosso, al contrario di quanto ti ostini ad asserire. Vuoi che la signora Assunta ti consideri una povera sfigata? >> mi fece presente la Castroni.
<< Ordiniamo e facciamola finita >> replicai seccata, prendendo posto.
Guardammo il menu e riconobbi un dolce di cui avevo visto la ricetta sul blog "Giallo Zafferano": doveva essere molto celebre per venire proposto anche lì.
Prendemmo le ordinazioni da una cameriera, che ci mise un po' a tornare visto quanta gente c'era.
Non vedevo l'ora di vedere se quel dolce lo avevano cucinato bene quanto me; appena assaggiai mi accorsi immediatamente dell'errore: le fragole dovevano essere bagnate dell'Amaro Ponti, mentre quelle dentro il dolce che mi avevano portato erano finite dritte nell'aceto balsamico. Era una schifezza.
<< Questa è una truffa... Dov'è il cuoco? Qualcuno mi dica dov'è il cuoco! >> esclamai furente.
<< Ani, ma che stai facendo? >> domandò Laura sconvolta.
<< Questo dolce è tutto sbagliato! Le fragole andavano trattate con l'Amaro Ponti e non con l'aceto balsamico! >> inveii ormai fuori di me.
<< Ani, ci stanno guardando tutti... >> commentò preoccupata Elena, mentre un brusio si levava dai tavoli vicini al nostro.
Non mi accorsi che qualcuno aveva esaudito la mia richiesta, andando a chiamare l'artefice di quell'obbrobbrio.***
Il fornaio della Panetteria Mainetti si era diretto fuori dal retro del locale perché una delle cameriere gli aveva detto che c'era una pazza che urlava contro un suo dolce; la pazza ovviamente ero io, e il dolce faceva veramente schifo ma lui era convinto di aver sfornato un capolavoro.
<< Cosa succede qui? >> domandò con un accetto vagamente meridionale, dalla parte dell'Adriatico.
<< Meno male che è arrivato! Si rende conto che questo dolce è sbagliatissimo? >> lo presi immediatamente di mira.
Doveva avere poco più di trent'anni, aveva i capelli neri corti, la barba e due occhi color ossidiana.
<< Lei sarebbe? >> cercò di approcciarsi educatamente.
<< Cerchi di perdonarla, la prego... Ha divorziato due ore fa... >> si buttò tra di noi Elena, prostrandosi dalla vergogna.
<< E forse ha anche bevuto qualche bicchiere di troppo... >> mi giustificò Laura. Infatti prima che arrivassero i dolci avevamo ingannato l'attesa con del vino rosso.
<< Lei non sa cucinare, lo sa? Anche un bambino di tre anni capirebbe che nelle fragole dello Sformato di Primavera ci va l'Amaro Ponti e non l'aceto balsamico! >> proseguii nel mio delirio.
Elena e Laura si guardarono, capendo che fosse ora di levare il disturbo.
<< Noi stavamo andando via... >> intervenne la Mancuso, trascinandomi per un braccio.
Ero alticcia e malferma, perciò la Castroni mi prese per l'altro lato.
Ce ne andammo verso la macchina di Elena con gli sguardi di tutti appiccicati addosso: forse le mie amiche del cuore mi odiarono un po', ma giusto un po', quella sera di fine ottobre.
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Quante stelle ha il mio cielo
ChickLitCentocelle (Roma), 29 ottobre 2019. Anita Cecchi ha trent'anni e ne ha passati cinque sposata con Giuseppe Lojacono, conosciuto ai tempi dell'università, il quale non ha fatto altro che mortificarla insieme alla madre Assunta, la quale accusava la n...