Capitolo 2 - La storia

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 Corinne non rimase soddisfatta della serata trascorsa in compagnia di sua zia. Il ballo aveva confermato la sua non idoneità a sopravvivere alla mondanità londinese. Avrebbe davvero voluto ritornare nel suo ducato a svolgere i suoi doveri. Le mancavano molto i suoi aiutanti e gli abitanti; la sua famiglia. Una vena di tristezza le stava accarezzando il capo, mentre il pettine scivolava tra i capelli lunghi e marroni. Guardandosi allo specchio, riscoprì un nuovo dettaglio della sua bellezza, della sua femminilità: la sua indipendenza. Il suo percorso l'aveva resa determinata, forte, unica. Alla morte del padre, un ubriacone buono a nulla e privo di intraprendenza, il ducato sarebbe dovuto tornare in mano a suo fratello: il re. Data la sua indisposizione, accelerata e causata dalla personalità della moglie, si accettò, non senza accanimenti e accuse a lasciare gli affari nelle mani della duchessa, la signora Corsen. La madre le aveva insegnato molto, in breve tempo. Purtroppo venne a mancare pochi anni dopo il defunto marito. La regina si accorse dell'affetto che gli abitanti del ducato avevano con la duchessa madre e la figlia e, sempre sotto la sua attenta supervisione, il territorio era passato nelle mani della figlia. Il lavoro da lei portato avanti era incredibile. Svolgeva i conti, i bilanci, gli affari al meglio delle sue capacità: e le sue capacità erano fuori da ogni sociale accettazione. Un ducato non poteva essere gestito da una donna. Ma quel ducato lo era. Gli abitanti erano contenti di non essere nelle grinfie della regina e amavano la duchessa come se fosse una loro parente. L'affetto e il rispetto era reciproco. Lei manteneva le redini dell'economia, dei rapporti tra territori, della cultura e dell'educazione degli abitanti dei suoi territori. Non erano sudditi, bensì amici, persone, colleghi e aiutanti. In questa reciproca relazione affettiva il ducato prosperava e superava le intemperie con flessibilità. La regina ne era soddisfatta e, perciò, aveva acconsentito al desiderio della nipote di non sottostare alla legge dello sposalizio: avrebbe affrontato il tema se e solo se ci sarebbe stato motivo; quel motivo sarebbe stato un uomo che lei avrebbe amato e rispettato. Fino ad allora, avrebbe continuato la sua vita da nubile, o zitella, a seconda della prospettiva sociale. In quel accordo erano però presenti delle condizioni, una delle quali era il momentaneo trasferimento della duchessa a Londra per partecipare alle varie stagioni. Lo trovava deplorevole: uomini in cerca di fanciulle, senza esperienza alcuna. Donne senza la possibilità di avere opinioni personali, dedite solo all'arte del canto, del ballo, forse della lettura e del disegno, relegate in un margine della società e private dell'angolo completo sulla vita che avrebbero continuato a sostenere dopo il matrimonio. Insomma, ci si trovava al mercato, dove venivano scelte le donne più belle e, forse, più ricche, non per la propria personalità, ma per il corpo e per il denaro.

Sapeva di essere piacevole alla vista e sicuramente il suo titolo le conferiva importanza agli occhi delle varie famiglie londinesi, ma Corinne era una persona semplice, colta e sempre alla ricerca di nuovi dettagli della vita da assaporare. Essere padrona di un territorio l'aveva agevolata a provare esperienze alcoliche e incontri intellettuali, ma per quanto riguardava la sua vita intima, aveva preferito non produrre pettegolezzi, perciò aveva scoraggiato ogni corteggiamento senza un chiaro obiettivo e senza coinvolgimento sentimentale. Di fatto aveva scoraggiato tutti i corteggiamenti, arrivando ad avere 27 anni. E ora si trovava nella casa da lei affittata per la stagione, intenta a rammaricarsi del suo tempo sprecato nella città. La regina l'aveva invitata a trascorrere il periodo presso la sua reggia, ma con modestia e arguzia aveva rifiutato, mantenendo fede alla sua indipendenza. Oltre a ciò non desiderava rivedere la situazione di suo zio, ormai inconsapevole delle vicende che stavano accadendo vicino a lui. Era completamente dipendente dai suoi infermieri. Sapeva che neanche la regina lo visitava spesso, non che lui potesse capirlo. Era davvero una brutta vicenda e voleva solo passare questo periodo lontano dai riflettori e tornarsene a casa.

Lord Bridgerton, seduto nel suo studio, dietro alla scrivania piena di scartoffie, si sentiva sconsolato. Nessuna donna lo aveva convinto e la madre lo aveva condannato a una stagione di fuoco con le sue dichiarazioni. Sarebbe stata la stagione del suo sposalizio, senza amore, ma con rispetto. Non avrebbe mai voluto amare qualcuno per evitare lo strazio che sua madre aveva passato dopo la morte improvvisa del padre. Non avrebbe mai dovuto amare nessuno perché lui era destinato alla stessa giovane. Tutti sarebbero stati toccati nel profondo dalla sua morte, la moglie, i figli, la sua famiglia. Almeno senza sentimenti in gioco, forse sarebbe stato più facile per tutti. Era questo il suo destino. Per un attimo ripensò allo sguardo di Corinne Corsen: fiero, determinato e audace. Ripensò al suo commento sulla regina e socchiuse gli occhi per chiarire mentalmente la faccenda: lei era coraggiosa ad esprimere la sua opinione in quel modo, ma di sicuro era priva di rispetto. Non le piaceva il suo modo di fare e avrebbe fatto attenzione che la sua famiglia continuasse a mantenere le distanze da quella donna.

La sua previsione sarebbe stata disattesa da almeno tre membri della sua famiglia, ma in quel momento il visconte era fermamente convinto su quel tema.

Il visconte che voleva amareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora