𝗟 𝗘 𝗢 𝗡Vorrei vagare per la città tutta la notte, perdermi tra le luci dei lampioni, nelle strade deserte e guardare il Tamigi avvolto dal silenzio. Fare un giro sulla ruota panoramica, mangiare lecca-lecca fino al mattino, costringendo la mia sete di nicotina nella gola a placarsi.
Non mi è concesso questo lusso.
La spia della benzina s'illumina improvvisamente, avvisandomi che la mia auto affaticata è ormai a riserva e il mio progetto di autodistruzione va a farsi benedire all'istante.
Stringo le dita attorno al volante quando cambio rotta e mi dirigo fuori città. Le mani mi prudono da morire, sono così arrabbiato. Lo sono con me stesso e con tutte le scelte stupide che ho preso nell'ultimo periodo.
Mi massaggio la fronte mentre il paesaggio attorno a me cambia: mi allontano dalla città, dove presto mi accoglie la familiare stradina isolata. Tra il bosco e il lago dimenticato da tutti, si erge una grossa villa a due piani.
Parcheggio nello spiazzale vuoto consapevole che la mia auto non mi porterà da nessuna parte domani e forse è un bene. Sarebbe meglio se qualcuno mi chiudesse in casa e gettasse via la chiave per tenermi lontano dal mio chiodo fisso.
Scendo dalla macchina incazzato col mondo e con me stesso. Cerco di non scivolare sulla fanghiglia che mi conduce al portico; in questa piccola distesa di campagna la pioggia è meno fitta, mi scivola addosso con meno prepotenza.
Salgo i tre scalini e mi fermo sullo zerbino per pulire un po' le scarpe dal terriccio; sbuffo e spalanco la porta: quando entro, il calore mi invade e quasi mi sfugge un gemito di sollievo.
In casa c'è silenzio, ma le luci al piano di sotto sono accese. Mi sfilo gli anfibi, li abbandono accanto alle sneakers di Theo. Scrollo via la pioggia dai capelli e mi libero della giacca.
Scalzo, percorro il lungo corridoio. Passo dopo passo mi spoglio, spalanco la porta della lavanderia e getto i vestiti nella cesta dei panni sporchi.
Cammino nudo per casa e salgo al piano di sopra. Sul pianerottolo sento dei rumori provenire dalla stanza di Theo, sorrido prima di rifugiarmi nella mia camera per fare una lunga doccia calda.
Quando chiudo gli occhi sotto il getto d'acqua non riesco a scacciare le immagini di questa sera dalla mente. Non ci riesco nemmeno quando torno in camera con l'asciugamano addosso.
Evito di guardare le pareti, i demoni che mi perseguitano costantemente, ogni piccola cosa mi riporti ai miei guai. Oggi qui dentro non ci posso proprio stare e sento di dovermi allontanare; così metto addosso dei pantaloncini e una t-shirt prima di rintanarmi in cucina.
Accendo le luci al piano di sotto, che illuminano il salone. Faccio il giro dell'isola e mi dirigo al frigorifero. Nel silenzio più totale tiro fuori una birra fredda e la porto con me dall'altro lato della stanza.
Mi accomodo sul divano e mi rilasso tra i cuscini afferrando il telecomando. Il mio braccio destro si allunga e il mio sguardo sosta un attimo sul tatuaggio che copre l'interno del mio avambraccio.
Un occhio.
Uno e uno soltanto.
L'iride azzurra che mi fissa costantemente.
Da sempre.
Stringo la mascella. Sposto lo sguardo e sospiro, lasciandomi andare all'indietro.
"Non mi userai".
Le palpebre mi si aprono di colpo al suono della sua voce.
Porto svogliatamente la bottiglia alla bocca e prendo un sorso molto generoso.
STAI LEGGENDO
JANE'S MEMORIES 1
Romance𝘾𝙊𝙈𝙋𝙇𝙀𝙏𝘼 | Se c'è una cosa che Jane detesta di più al mondo è la violenza, e Leon è proprio tutto ciò da cui stare alla larga. «Non avevo punti deboli prima di te, ero indistruttibile». - Hate to love - Slow Burn - He falls first - Doppio...