25. Soldato

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𝗝 𝗔 𝗡 𝗘

La pioggia ha smesso di battere al suolo.

Sono ferma davanti a questa lapide col fruscio del vento che smuove le foglie sugli alberi, l'odore pungente di petricore che mi pizzica il naso.

Non so da quanto tempo io sia qui. Ho freddo, i miei capelli sono umidi, la mia pelle trema sotto i vestiti ancora bagnati. Fisso il marmo grigio, la foto di mio fratello che sorride. Allungo una mano e sfioro i petali dei fiori sistemati nel vaso.

Mi scappa un ghigno amaro. Sono freschi.

Mia madre non ha mai smesso di prendersi cura di lui.

Sposto le dita verso la fotografia, traccio i lineamenti di David con la punta dell'indice.

'Ci sono solo ossa' mi dico, 'la sua anima è sempre stata qui con me'. David non mi ha mai lasciata.

Sospiro quando la malinconia attanaglia il mio stomaco.

Qualcosa scricchiola alle mie spalle. Abbasso gli occhi, ritraggo la mano. Non mi volto.

Nemmeno lui mi ha mai lasciata: Leon. Mi ha accompagnata al cimitero, è rimasto in silenzio a pochi passi da me e non ha aperto bocca, nemmeno quando mi ha sentita piangere.

Inspiro forte, poi chiedo: «Sei mai stato qui?»

So che è abbastanza vicino da sentirmi.

«Sì» la sua voce è così flebile che si mischia al fischio del vento.

«Quante volte?»

«Una soltanto, molti anni fa. Tu...» lascia in sospeso la frase e io aspetto che continui. «Quel giorno sei arrivata all'improvviso. Non volevo mi vedessi, così mi sono nascosto. Gli avevi portato dei lecca-lecca alla fragola».

'I lecca-lecca...'

«Glieli hai rubati?» continuo a fissare la lapide.

«No» espira, «ma ho smesso di fumare». 'Io, invece, ho cominciato'.

Mi volto lentamente.

Leon è fradicio quanto me. Quando si muove, piccole goccioline cadono dalle punte dei suoi capelli. È molto pallido, solo le sue labbra sono arrossate.

«Raccontami» le mie iridi saettano nelle sue. «Voglio sapere come hai incontrato Connor».

Serra la mascella.

Il suo pomo d'Adamo si muove velocemente quando deglutisce a fatica. Poi, annuisce.

Si inumidisce le labbra e comincia.

«Ho lasciato l'istituto a diciotto anni come imposto dalle regole. Non avevo né un posto dove andare, né soldi per mangiare o anche solo sopravvivere».

Una grossa nuvola di condensa esce fuori dalla sua bocca dopo aver espirato.

«Ho lavorato come lava piatti nei ristoranti di giorno e trovato un posto dove dormire di notte. Il mio letto era un materasso lercio nella soffitta di un pub di ubriaconi dove facevo di tutto: barman, inserviente, manutentore» elenca, con una luce triste negli occhi.

Me lo immagino più giovane, più pallido e molto più spaventato. Me lo immagino abbandonato a se stesso, senza famiglia né amici, nessuno su cui contare. Solo. Tutto solo.

«È stato allora che ho cominciato a prendere tutte le scelte sbagliate» si morde l'interno della guancia, non mi guarda più. «Ho conosciuto Connor proprio in quel club, stava chiudendo un affare con persone poco raccomandabili e diciamo che gli ho salvato la vita dopo che loro tentarono di ucciderlo».

JANE'S MEMORIES 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora