38. ...che resti?

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𝗟 𝗘 𝗢 𝗡

Londra, Inghilterra.
2022

Ho la punta delle dita che formicola e le gambe intorpidite. Mi pesa nel petto anche il respiro.

Mi sto svegliando.

Non so quanto sia stato lungo il mio sonno, ma sento di nuovo il mio corpo, riesco di nuovo a pensare con lucidità e a muovere le palpebre senza percepire dolore. I miei ricordi sono sbiaditi.

Dischiudo le labbra. Ho la gola secca, muoio di sete.

Sono sveglio, ma la verità è che ho paura di aprire gli occhi e scoprire di non essere riuscito a fuggire. Ho paura di ritrovarmi di nuovo in quello scantinato, drogato e sotto torture.

Ho paura che Jane non mi abbia salvato e che io da quel lago non sia mai uscito. O peggio, che lo abbia solo sognato.

Respiro piano e qualcosa nella stanza si muove. Percepisco lo spostamento d'aria, c'è un profumo familiare.

Profumo. Nessuna puzza di umidità o morte. Solo un odore buonissimo che mi fa venire voglia di guardare in faccia la vita. Ed è questo bisogno incontrollato che mi fa aprire gli occhi, anche se fanno un po' male. È il bisogno incontrollato di vedere lei: Jane, che è esattamente dove dovrebbe essere.

Se ne sta in piedi, accanto alla finestra della mia stanza nella grande villa sul lago. Ha le braccia incrociate, fasciate da una maglietta sottile a maniche lunghe. Guarda fuori.

La luce del pomeriggio illumina i suoi lineamenti, i suoi meravigliosi capelli ricci e io penso che se fossi morto questo sarebbe sicuramente il mio paradiso. Lei sarebbe il mio angelo per sempre e io potrei trascorrere così l'eternità.

Non so che cosa sia accaduto in quell'istituto, ma c'è un unico pensiero che mi tormenta: le ho fatto del male?

Adesso è reale?

'Ti prego, fa che non stia sognando. Ti prego'.

È così assorta nei suoi pensieri che non sente il fruscio delle lenzuola quando mi metto a sedere. Si volta solo quando il letto scricchiola.

I nostri occhi si scontrano e la tempesta esplode.

Lei esiste e adesso esisto di nuovo anch'io.

«Leon» pronuncia, con l'affanno nella voce.

Mi fa male la testa, ma voglio mettermi in piedi. Ci provo, ma perdo l'equilibrio e quasi cado. Quasi, perché Jane mi prende in tempo e io riesco a tenermi alla parete.

La guardo dall'alto del mio metro e ottanta e lei sembra così piccola. È sempre stata così piccola, eppure, così forte, così coraggiosa.

Mi tiene per un braccio. Le sue dita mi stringono la pelle nuda, sembra quasi abbia paura io possa svanire dalle sue mani da un momento all'altro.

«Ce l'hai fatta» la mia voce è appena un sussurro. Sono distrutto e la mia gola brucia da far paura.

Lei corruga la fronte e io aggiungo: «Ci hai salvati».

La presa sulla mia pelle si allenta, le sue iridi si scuriscono.

«No» soffia.

'No?' sto per chiederle, ma qualcuno ci interrompe.

'Hunter, maledizione!'

Jane lascia andare il mio braccio, fa un passo indietro.

Io riesco a stare in piedi solo perché mi tengo alla parete. Mi volto verso il mio migliore amico che sta entrando in camera mia, seguito da tutti gli altri membri della nostra famiglia. Non sono mai stato così felice di vederli come adesso.

JANE'S MEMORIES 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora