9. Il cattivo della storia...

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𝗝 𝗔 𝗡 𝗘

"Fai di me il cattivo. Il cattivo".

È così che mi sveglio di soprassalto per la terza mattina di seguito: in preda ai tremiti e al sudore freddo. Col cuore in gola, le lenzuola attorcigliate alle gambe e il fiato corto.

Leon sta invadendo i miei incubi.

Ho creduto di poterlo accantonare, lasciarmelo alle spalle. Dimenticarlo.

Non ce l'ho fatta. Mi perseguita.

Ho visto la signora Robertson ieri e sentir parlare di lui così bene deve avermi destabilizzata ancora di più.

«È stato così gentile» mi ha detto. E io ho pensato: lui, gentile? «Mi ha addirittura sistemato quel pensile che da settimane mi stava dando il tormento».

Ho provato a immaginare Leon come una persona normale che aiuta le anziane signore e fa bricolage nel tempo libero.

Impossibile. Leon non è così. Non so cosa me ne dia la certezza, ma è quello che sento.

Mi alzo all'alba e bevo due caffè in totale solitudine. Mi lavo, mi vesto, faccio tutto meccanicamente come un robot che non prova emozioni.

Prima di infilare le scarpe guardo l'orologio e vedo le lancette segnare le sette e dieci. Sono in ritardo, ma devo passare dalla signora Robertson anche oggi.

Sbuffo, apro la porta e chiudo a chiave la serratura quando esco di casa. Attraverso il pianerottolo e mi fermo davanti alla porta della mia vicina.

Suono il campanello e aspetto.

Di solito impiega qualche secondo prima di aprire. Ha i suoi acciacchi, non mi aspetto che corra per tutta casa.

Solo che oggi passa più di qualche secondo, forse addirittura due minuti.

Guardo di nuovo l'orologio e mi spazientisco.

«Signora Robertson sono Jane» batto con le nocche contro la porta, «sono passata per misurare la sua pressione» aggiungo, ma dall'altro lato tutto tace.

Non c'è nemmeno Romeo, il suo gatto, che miagola.

Che stia ancora dormendo? Che sia uscita dimenticandosi del nostro appuntamento? Di solito non lo salta mai.

Sbuffo. Non posso aspettare oltre o farò tardi al lavoro.

Mi piego sulle ginocchia, tiro fuori dallo zaino un post-it e ci scrivo sopra che sono dovuta scappare e passerò più tardi.

Mi alzo, lo incollo sulla porta e corro via.

Una piccola parte di me ha un brutto presentimento, ma sono paure infondate. Non posso vedere sempre tutto nero.

Me ne vado al lavoro e per il resto della giornata cerco di non pensare alla mia vicina.

È solo a sera, al mio rientro, che qualcosa mi insospettisce.

Sullo zerbino della signora Robertson c'è rannicchiato il suo gatto. Sulla porta è ancora affisso il mio post-it, come se nessuno avesse varcato la soglia.

Romeo miagola stiracchiandosi quando mi vede. Salgo l'ultimo scalino e lui mi sfiora le caviglie con il muso mentre fa le fusa.

«Ehi mostriciattolo» lo accarezzo. «Che cosa ci fai qua fuori tutto solo?»

Guardo la serratura chiusa, immobile e mi chiedo dove sia la signora che tanto ama questo gatto. Quella che esce con la pioggia, con il vento e con la neve pur di trovarlo quando scappa.

JANE'S MEMORIES 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora