30. Dal caos non si esce vivi

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𝗝 𝗔 𝗡 𝗘

Ho fame. Muoio di fame.

Mi rannicchio sul materasso col dolore allo stomaco che non mi da nemmeno il tempo di pensare a quello che, invece, mi affligge il cuore.

Dov'è Leon?

Che cosa stanno facendo a lui se io sono prigioniera qui dentro?

Mi rigiro sulla schiena gemendo.

Fisso il soffitto.

Odio essere in questa gabbia. Odio non poter fare niente per uscire da qui. Mi fa impazzire questo silenzio. Io non posso, non voglio morire qui dentro.

Ho un bisogno disperato di spaccare tutto quanto.

«C'è nessuno?» strillo, ma la mia voce fa eco su queste maledettissime quattro mura. Chiudo gli occhi. Lascio andare un sospiro e batto la testa contro la parete a cui sono appoggiata.

«Fatemi uscire di qui» dico, questa volta però la mia è una preghiera, un sussurro. Mi volto verso la porta, la guardo. Impiego un solo secondo per mettermi in piedi. Scatto verso l'uscio e comincio a picchiarne la superficie.

«Ehi!» grido. «Aprite questa cazzo di porta» colpo dopo colpo le mie mani si arrossano. «Ehi!» non mi fermo, non posso fermarmi e quando la serratura scatta il mio cuore perde un battito.

Arretro con gli occhi sbarrati e l'affanno. Ho attirato l'attenzione, era ciò che volevo, ma adesso sono spaventata.

La porta viene aperta, sulla soglia si ferma quel ragazzo che ho visto il giorno che io e Leon siamo stati presi. Non conosco il suo nome, mi guarda come se volesse farmi a pezzi.

«Che cazzo hai da urlare?» mi ringhia contro e io serro la mascella.

Non è il momento di avere paura.

Mi metto in faccia un'espressione impassibile anche se dentro sto crollando.

«Devo andare in bagno».

I suoi occhi mi studiano dall'alto in basso. Gonfia il petto e poi sbuffa.

«Esci» mi intima facendo un cenno con la testa verso il corridoio. «Avanti».

Nascondo le mani dietro la schiena continuando a torturare le pellicine attorno alle unghie per esorcizzare l'ansia. Ho una paura fottuta ma non voglio fermarmi. Credo sia l'adrenalina che mi spinge a uscire e seguire questa specie di secondino fuori dalla mia cella.

Non so che ore siano. Il mio stomaco è così vuoto che potrei quasi svenire e in questo sotterraneo non ci sono finestre.

Il ragazzo davanti a me non mi conduce al piano di sopra, mi accompagna in una stanza alla fine del corridoio.

Guardo verso le scale. La domanda mi scappa di bocca.

«Dov'è Connor?»

«Non ti riguarda».

«Ho bisogno di vederlo».

«No, tu ora chiudi la bocca e fai come ti dico o lascerò che ti pisci sotto. Sono stato chiaro?»

Annuisco.

«Muoviti, non ho tutto il giorno» dice, spalancando la porta di un bagno lurido e puzzolente.

Mi viene da vomitare.

Entro, mi chiudo l'uscio alle spalle e sospiro. Non c'è nemmeno qui una via di fuga. Il rubinetto del lavandino perde acqua, goccia dopo goccia il ticchettio mi risuona nella testa e mi stordisce. Cosa devo fare?

JANE'S MEMORIES 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora