40. In eterno

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𝗟 𝗘 𝗢 𝗡

Non so che ore sono e da quanto tempo io sia chiuso in questa cappella a contemplare il vuoto. Sull'altare maggiore, i ministri si preparano alla messa e capisco che forse tra un po' sorgerà il sole e mi ritroverò ad ascoltare la prima funzione di una nuova giornata.

Una giornata che per me non ha senso. Una vita che ormai ha perso tutto il suo valore perché Jane è in coma con un trauma cranico e io non ho preso quella pallottola al posto suo.

«Non so... non so pregare» non sento la mia voce da ventiquattro ore. E anche se sussurro mi sembra di star urlando.

«Non so se esisti» fisso il crocifisso dietro l'altare. «Non so se tutto questo varrà qualcosa e se mi ascolterai davvero, ma io non ce la faccio più. Ho bisogno che tu la salvi» le fiamme sulle candele oscillano. Il mio cuore si spezza a ogni respiro.

«Ti supplico» deglutisco. Chiudo gli occhi per trattenere le lacrime. «Fa che lei non muoia. E se dovesse peggiorare, per favore, prendi me. Lascia che lei viva e prendi me» scivolo in ginocchio, porto le mani in preghiera davanti alle labbra.

«Prendi me» sussurro. «Prendi la mia anima e lascia vivere la sua, ti prego».

La mia richiesta resta bisbigliata tra i santi e l'incenso.

Non otterrà risposta.


È un silenzio doloroso, quello che mi accompagna per i successivi due giorni. Si rompe solo quando il prete benedice la bara del mio migliore amico e la vedo sprofondare sotto terra.

C'è calma.

Una calma snervante. Una calma che mi fa male al cuore.

Non riesco a piangere, a fare niente se non fissare quella lapide sopra la quale c'è scritto il suo nome: Hunter Saint-Clare.

È chiuso in una scatola, su cuscini di piume e col suo pacchetto di sigarette nella tasca della giacca di pelle. Non è qui con me, eppure, io lo sento vivo. Lo vedo in carne e ossa al mio fianco.

"Che rottura di palle questi funerali" avrebbe detto. Mi sembra quasi di sentire la sua voce. Mi si imprime nella testa e mi spacca in due il cuore.

L'ho visto morire davanti ai miei occhi. Ho lasciato che Connor lo ammazzasse e non ho fatto niente per impedirglielo.

Un leggero singhiozzo si libera, nell'aria, mi riscuote dai miei pensieri. E mi ricordo che c'è qualcuno più a pezzi di me.

Danielle è al mio fianco.

Non si è mossa per tutta la funzione, ma adesso che i parenti e gli amici stanno lasciando il cimitero, lei non si trattiene più. Piange e io le cingo le spalle con il braccio mentre con l'altro le avvolgo la testa e la premo sul mio petto. Adagio la guancia sui suoi capelli. La stringo col desiderio di alleviare il suo dolore.

«Dovrei mettere dei fiori» la sua voce è un disastro, «ma non gli ho mai chiesto quale fossero i suoi preferiti» lascia andare un lamento che mi disintegra.

«Prendiamo quelli più colorati» le sfioro una guancia con le nocche.

Annuisce premendo la faccia contro il mio petto. Il pianto le scoppia in viso di nuovo. Non smette nemmeno quando rientriamo al suo appartamento.

La villa è stata distrutta. La nostra casa è andata a fuoco. L'unico posto dove possiamo stare è questo trilocale che Danielle ha preso in affitto appena arrivata a Londra. Non ci ha permesso di andare in albergo e quindi Theo e Jude dormono sul divano letto, Nick sulla poltrona e io... io non chiudo occhio. Quando ci riesco, Danielle mi trova accasciato sul tavolo e anche se prova a convincermi ad andare nel suo letto io proprio non ci riesco. Non so cosa ne sarà di me e della mia vita adesso.

JANE'S MEMORIES 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora