32. La notte si avvicina

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𝗟 𝗘 𝗢 𝗡

York, Inghilterra. 2015

Avevo compiuto diciotto anni da un mese e già mi pesavano addosso come un macigno. Mi ero lasciato alle spalle l'istituto, Miss Brown, la dottoressa Clark e David.

Avevo scordato tutto.

Tranne lei.

La sera, quando terminavo il mio turno di lavoro allo squallido pub in cui lavoravo, mi accasciavo sulla brandina mezza rotta, nella squallida mansarda del locale e, nel buio, provavo ad addormentarmi. A volte, nemmeno la stanchezza riusciva a farmi chiudere occhio. A volte, non bastava niente, se non la sua voce.

«Stella stellina, la notte si avvicina...».

Jane me la cantava nelle orecchie. Qualche notte avevo addirittura visto il suo fantasma danzarmi attorno. E mentre lei sussurrava con quella vocina da ragazzina, io cadevo nel mio sonno più profondo e trovavo un po' di pace.

Non c'era mattino, però, che non mi svegliassi di soprassalto e con la fronte madida di sudore. Alla fine, anche Jane spariva. Anche lei era sparita insieme a David e io tornavo a essere solo.

Quando conobbi Connor il mio cuore si era svuotato del tutto. Era febbraio e io non avevo più nemmeno le forze per trovare uno scopo nella vita.

«Sei un miserabile» mi disse, dopo che lo avevo salvato dalla morte, quella sera al pub in cui lavoravo. «Io posso darti un'occasione».

Un'occasione.

La stessa occasione che mi aveva dato l'assistente sociale quando mi aveva portato via dalla Germania. Una seconda vita.

Non avevo niente.

Non un soldo per l'università, non una dignità abbastanza buona per diventare qualcuno. Ero destinato a finire nei sobborghi di qualsiasi città a mendicare e a drogarmi.

Connor voleva darmi un'occasione. E me la diede.

Quando mi trasferii nella sua casa pensai che stesse scherzando. Era un casolare abbandonato, fatto di mattoni spogli dall'esterno, ma una villa di lusso all'interno. Poiché gli avevo salvato la vita, meritai di avere una stanza tutta mia. Una stanza silenziosa, grande quasi quanto l'intero appartamento dove avevo vissuto con mia madre da bambino, con un letto matrimoniale e un materasso altissimo.

«Immagina scopare su quel letto» mi sussurrò Connor, sotto la soglia della mia camera. La mano posata sulla mia spalla, il sorrisetto glorioso sulle labbra. «Scommetto che lo hai fatto nei posti più luridi, adesso sei molto più comodo. Ti ci puoi divertire» quando mi voltai a guardarlo, i suoi occhi mi bucarono la testa. «Benvenuto a casa».

E quella fu davvero la mia casa per mesi.

A differenza di ciò che aveva detto Connor, nel mio letto non ci portai mai nessuno. Anche quando lui organizzava le sue feste più folli e le ragazze mi spogliavano anche solo guardandomi, non lasciai entrare nessuna di loro.

Mi limitavo ai baci, quelli furenti e rabbiosi e a dare loro piacere, ma mai, mai, lasciai che qualcuna toccasse me.

Mi dicevano che era bello, lasciarsi sfiorare. Dicevano che dopo il sesso avrei provato un sollievo indescrivibile, ma forse era quello il mio problema. Non volevo provare nessun tipo di sollievo, nessun tipo di piacere.

Non sentivo niente, mai. Qualsiasi cosa io facessi, non provavo niente.

Le volte in cui la casa si riempiva di gente e in giro volava una quantità eccessiva di alcol e droga, io me ne stavo lì a guardare. Osservavo come tutto quello rendesse le persone diverse. Vedevo come tutto quello schifo avesse ucciso anche mia madre.

JANE'S MEMORIES 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora