8. Solitudine

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𝗝 𝗔 𝗡 𝗘

Non riesco a guardare il mio riflesso allo specchio.

Per giorni lo evito, mi evito e fingo anch'io che non sia accaduto nulla. Me l'hanno insegnato bene.

"Non ti crederà nessuno quando lo dirai in giro, quindi fingi che non sia mai successo. Dimenticalo".

Dimenticalo.

Anche questa volta sono come un quadro rotto e deturpato, qualcosa da buttare, che ormai non serve più. E anche se il mio dipinto parla, non ho raccontato a nessuno dell'accaduto. Sta agli altri leggermi dentro perché io, anche questa volta, sono stata zitta.

Mia madre sarebbe fiera di me.



Succede raramente che le persone mi stupiscano. Oggi è accaduto.

A noi specializzandi è concesso un numero molto, molto, limitato di ferie. Tre giorni fa ho ricevuto la chiamata dall'ospedale. Le infermiere mi hanno informata che qualcuno aveva giustificato la mia assenza.

Non posso negarlo, ho pensato subito a Jude. Ho pensato che lo avesse fatto per "sdebitarsi" con me.

Mi sono sbagliata.

Il mio camice è stato sistemato nel mio armadietto, perfettamente stirato. Ho parlato con le infermiere al mio arrivo e adesso so chi mi ha coperta al lavoro.

Lo spogliatoio è silenzioso. Mi sfilo la giacca nello stesso momento in cui la porta si spalanca.

Danielle mi lancia uno sguardo veloce e io tiro fuori il camice dall'armadietto. Lei si avvicina al suo, lo apre e si nasconde dietro l'anta.

Inspiro.

«L'infermiera mi ha detto che sei stata tu ad avvisare della mia assenza» dico.

Le sue spalle si tendono. Io mi appoggio con la schiena contro la parete.

«Hai detto loro che avevo avuto un incidente. Perché?»

Nascondo le mani nelle tasche del camice. Aspetto una sua risposta.

Danielle chiude l'armadietto, indossa il camice e mi guarda.

«Jude mi ha telefonato per informarmi. Ho pensato fosse il minimo che potessi fare». I suoi occhi studiano il mio viso, le ferite che non sono ancora sparite. «Mi dispiace per quello che ti è successo» sembra sincera.

Mi scappa una risata.

«Danielle Garcia dispiaciuta per me» scuoto la testa. «Evidentemente le botte mi avranno causato le allucinazioni».

«No, Jane. Lo sono davvero» lei espira. Si stringe nelle spalle, imitando la mia posizione con le spalle al muro.

«Io... avrei dovuto metterti in guardia».

«In che senso?» corrugo la fronte.

«Sapevo molte cose su Jude, forse molte più di quante ne sapessi tu» ammette. Non posso fare a meno di percepire nella sua voce un grumolo di sensi di colpa. «Pensavo non mi avresti creduto, dato il nostro tollerarci. Così non te ne ho mai parlato».

Non posso biasimarla, ma...

«Non ci hai nemmeno provato» abbandono la testa contro la parete. «Quali sono le cose che sapevi su di lui?»

«Che i soldi per Jude significavano più di ogni altra cosa» esala, «non ha avuto una vita facile. La sua famiglia era povera da fare schifo, suo padre era un ubriacone e sua madre è morta perché non potevano pagare le spese mediche».

JANE'S MEMORIES 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora