24. Con la sua voce e i suoi occhi

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𝗟 𝗘 𝗢 𝗡

Jane è silenziosa.

Lungo tutto il tragitto in macchina non ha aperto bocca, non si è mai voltata verso di me, è rimasta ferma fissare il paesaggio oltre il finestrino.

Tra noi due c'è ancora quel muro insormontabile, ma lei ci ha aperto dentro uno spiraglio. Ho paura che sia solo per oggi. Solo per York e la situazione in cui ci troviamo.

Mi è costato uno sforzo immane venire qui, rivedere l'istituto, rivivere quei momenti che mi hanno cambiato nel profondo. So che lo stesso vale anche per Jane ed è forse questo che la spinge a stare con me adesso. Per la prima volta sento che è lei ad aggrapparsi a me e non il contrario.

Dopo quindici minuti imbocco la stradina di casa sua e la distraggo solo per chiederle quale sia la sua villetta.

«Dove devo fermarmi?»

Jane si riscuote. Batte le palpebre e indica il vialetto che precede una piccola abitazione a due piani.

«Quella con i mattoni rossi» dice. Poi, corruga la fronte. «Non lo sai?»

Faccio ruotare il volante con il palmo mentre parcheggio e scuoto la testa.

«Non sei mai stato qui?» la sua domanda è lecita.

Sono stato in tutti i posti che ha frequentato, tranne a casa sua.

«No» ammetto.

«Perché?»

'Perché c'era David'. «Perché non avevi bisogno di me».

Le lancio un veloce sguardo prima di spegnere la macchina. La pioggia batte sul parabrezza e fa un rumore sordo.

Jane non si muove. Scruta la sua abitazione dal sedile.

Guardo il suo profilo. I suoi capelli ricci ancora umidi e il segno delle lacrime sul viso. Vedo il suo cipiglio triste, il suo volto così malinconico che mi spezza in due.

«A cosa pensi?»

Vorrei mettere in moto e portarla via di qua, ma non posso.

Deve affrontare sua madre. È la cosa giusta.

«A niente» risponde con voce atona. Apre lo sportello ed esce.

Libero un sospiro frustrato e la seguo fuori dall'auto. Le cammino alle spalle, pare che la pioggia non dia fastidio a nessuno dei due perché sostiamo un attimo di troppo fuori dalla porta.

Vedo Jane chinarsi e recuperare delle chiavi sotto lo zerbino.

Non sorride, non traspare nessuna emozione dal suo volto. È piatta e fredda come una giornata d'inverno. Infila la chiave nella toppa e apre l'uscio. Mi fermo dietro di lei sulla soglia mentre aspetto che accenda le luci.

La casa è silenziosa. C'è odore di pulito e di fiori, non ricorda per niente il profumo che Jane porta addosso. Anche lei contempla le pareti, la mobilia. Si volta verso il salone, osserva qualcosa prima di entrare in salotto e avvicinarsi al tavolino ai piedi del divano.

Sfiora la piccola pianta poggiata sulla superficie in legno.

Si piega, annusa i fiori e si raddrizza sulla schiena.

«Lavanda» dice. «Dove cresce la lavanda qui a York?» la sua testa rotea nella mia direzione, il suo sguardo mi penetra nelle viscere.

Mi schiarisco la gola. Rispondo, sperando che la mia voce non tremi.

«Nel giardino della chiesa, a pochi metri da qui».            

«C'era un'altalena lì» ha già capito. «Io ci andavo sempre».

JANE'S MEMORIES 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora