crudeltà

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Dopo cena ci dirigemmo lentamente verso la spiaggia. Dal mare saliva una leggerissima  brezza che mi scompigliava i capelli, mentre i nostri piedi scorrevano tra la sabbia. Il sole era già calato da un pezzo, lasciando spazio alla notte. Charles mi prese per mano, mentre camminavamo.

"ora tocca a me raccontarti la mia vita", mi disse.

Restai in silenzio. Non avrei detto nulla, esattamente come aveva fatto lui con me. L'avrei lasciato libero di parlare, di dirmi tutto ciò che avesse voluto.

Il suo racconto venne accompagnato dal leggero rumore delle onde del mare che si infrangevano sulla riva.

"sono cresciuto nelle auto, la mia infanzia è stata fantastica, con mio padre che mi spingeva a dare sempre il massimo. E' sempre stato tutto per me: non ha mai avuto paura di perdermi, nonostante i rischi che corro ogni volta che entro in una monoposto. Ha sempre pensato alla mia felicità, e sapeva che l'unica cosa in grado di rendermi felice sul serio era la velocità. Mio padre non fu l'unico a starmi sempre accanto: c'era anche Jules Bianchi, il mio mentore, il mio esempio di vita. Gli volevo un mondo di bene... era come un fratello per me. Un bel giorno, ci eravamo appena sentiti al telefono, io gli avevo fatto gli auguri per la sua gara, lo vidi schiantarsi e perdere la vita, praticamente sul colpo"

Trasse un profondo respiro. Mi accorsi che i suoi occhi erano velati di lacrime. Non volevo dire nulla. Sapevo cosa fosse il dolore, e sapevo anche che riuscire a dire ad alta voce ciò che si è provato in passato, rispolverare una ferita mai rimarginata completamente, è più difficile di qualsiasi cosa.

"Per la prima volta mi resi veramente conto di quanto l'amore più grande della mia vita, cioè quello per la Formula 1, fosse crudele. Era un paradosso incredibile: Jules amava le auto, la velocità, esattamente come me, e non era giusto che proprio loro lo abbiano portato via da me. Cercai di dimenticare la sua morte, andai avanti con la mia carriera, con il sostegno sempre presente di mio padre. Poi un giorno, mia madre mi telefonò, dicendomi che mio padre aveva fatto degli esami, e che era malato. Tornai di corsa a casa, gli fui sempre accanto, in ogni istante, nonostante lui mi dicesse di andare via, di correre. Morì tra le mie braccia"

Ormai Charles piangeva. Non l'avevo mai visto così prima. Nella mia testa non avevo mai pensato all'immagine di quel perfetto pilota monegasco che piangeva, esprimendo il suo dolore.

"Ma la vita non si è fermata qui. Due anni più tardi se ne andò anche il mio migliore amico, Anthoine Hubert. Anche lui per colpa delle auto. So che questo sport è pericoloso, che ogni volta che entro in una monoposto non posso garantire di uscirne. So che rischio la vita, e conosco il dolore che questo provocherebbe in tutti voi che mi siete intorno, ma per me la formula 1 è la vita. Senza correre sarei morto dentro"

Lo abbracciai. La vita era crudele, ma era l'unica che avevamo quindi dovevamo viverla. Lo baciai. Mai gli avrei impedito di correre, sarebbe stato come impedirgli di respirare.

"ti capisco Charles, perfettamente. Quei giri fatti con te in pista sono stati una delle esperienze più belle della mia vita, probabilmente secondi solo al momento in cui mi hai baciata per la prima volta", confessai, guardandolo negli occhi, e facendo scorrere la mia mano destra sul suo volto per asciugargli le lacrime.

Lo vidi sorridere, come riconoscente. Mi abbracciò, posando il volto nell'incavo del mio collo.

"non ho mai conosciuto una ragazza come te", iniziò, "tu hai le mie stesse passioni, guardi il mondo da una visuale tutta tua, una visuale meravigliosa"

Sorrisi.

Ci sedemmo sulla sabbia, guardando l'orizzonte del Mediterraneo, coperto dalle tenebre della notte. In lontananza si potevano distinguere le luci delle navi. Da dietro di noi giungevano voci provenienti dalla città, dai suoi grattacieli, bar, ristoranti, casinò e hotel di lusso.

Monaco era come una sorta di bolla, in cui tutto sembrava più bello. Forse questa visione l'avevo grazie a Charles, alla sua presenza accanto a me.

Il pilota mi cinse il collo con un braccio, permettendomi di posare la testa sulla sua spalla.

"Ci tengo molto a farti conoscere mia madre e i miei fratelli", mi confessò.

Sorrisi. "ed io non vedo l'ora di conoscerli, anche se ho un po' di ansietta", dissi ridendo.

Ricambiò la risata. "non mangiano mica... con Arthur puoi parlare tranquillamente anche in italiano... , con Lorenzo in inglese, mia mamma ne sa un po', ma non troppo"

"vorrà dire che farai da interprete", constatai ridendo.

Da quel momento in poi restammo in silenzio, stesi sulla sabbia mano nella mano, mentre i nostri piedi a tratti venivano raggiunti dalle onde del Mediterraneo.

Sapevo che Charles stava pensando al suo passato: parlarmene ad alta voce aveva almeno momentaneamente riaperto vecchie ferite, che con il tempo erano state ricoperte dalla polvere degli anni che passano.

Aveva sofferto tantissimo, e proprio per questo sapevo quanto tenesse a tutti coloro che lo circondavano, compresa me.

Forse era stato proprio quel dolore a renderlo la persona che tanto amavo: Charles da un lato era un ragazzino mai cresciuto, un po' come me, votato a vivere la vita fino in fondo, mentre dall'altro era un uomo che, nonostante la giovane età, aveva già visto fin troppo.

Ed io gli sarei stata sempre accanto, gli avrei fatto vivere la vita fino in fondo, sempre ad alta velocità, come piaceva fare a noi. Non gli avrei mai permesso di adagiarsi sui fantasmi del suo passato.

Mai.

Velocità II Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora