non è certo colpa mia

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Osservai l'orologio preoccupata mentre guidavo alla volta di Maranello: non volevo arrivare in ritardo alla prima riunione in casa Ferrari a cui avrei dovuto partecipare.

Quel lavoro stava iniziando a significare sempre di più per me, e per tutte le mie ambizioni. Mi rendevo conto che essere lì avrebbe offerto incredibili opportunità alla mia vita lavorativa.

Parcheggiai velocemente, precipitandomi fuori dall'auto il più in fretta possibile.

Salii le scale di corsa, augurandomi di non essere in ritardo.

"oh Dio, per fortuna siete ancora qua", esclamai, vedendo Carlos mollemente appoggiato al muro, intento a guardare lo schermo del suo iPhone.

"Hola señorita!", esclamò, vedendomi.

"credevo di essere in ritardo", ammisi, sedendomi su una sedia per riprendere fiato.

"tranquilla, qui sono sempre tutti in ritardo", mi rassicurò, mettendosi a ridere.

"Bonjour!", esclamò dietro di me una voce anche troppo familiare.

"ciao", risposi, osservando le iridi verdi di Charles.

Qualche istante dopo fummo chiamati all'interno della stanza in cui si sarebbe tenuta la riunione. All'interno c'era un tavolo enorme, contornato di meravigliose sedie di design.

Notai che tutto tra quelle mura era rosso , con un elegantissimo simbolo Ferrari sulla parete opposta alla porta d'ingresso.

Mi guardai intorno ammirata, per poi sedermi al posto che mi era stato assegnato, dove trovai un quaderno bianco con il simbolo della scuderia, ed una bottiglietta d'acqua.

La riunione durò più del previsto: discutemmo delle gare seguenti, dei miei compiti, di ciò che avrei dovuto fare in compagnia dei piloti, e così via.

"spero di non avervi rubato troppo tempo", esclamò l'uomo a capo tavola, indicandoci la porta. "potete pure andare"

Uscii dalla porta, per poi fermarmi subito, chiamata dal mio ex fidanzato.

"sofi", disse, avvicinandosi a me.

Mi fermai, cercando di decifrare l'espressione sul suo viso.

"ti vorrei parlare", mi comunicò, indicando una stanza poco distante.

Feci un cenno affermativo con la testa, percependo una scia di ansia percorrermi lo stomaco.

Charles si richiuse la porta alle spalle, guardandomi negli occhi.

"come stai?", mi chiese, senza mai abbassare lo sguardo.

"bene", risposi, mentendo spudoratamente. "tu?"

Non gli chiesi della bambina. Ero egoista, lo ammettevo, ma non ce l'avrei fatta a reggere una conversazione su di lei.

"bene, grazie", rispose.

"perchè mi hai trascinata qua dentro?", chiesi, con la voglia di scappare via il prima possibile.

"ho visto...", iniziò, abbassando di colpo il suo sguardo verso il pavimento.

"cos'hai visto?", gli chiesi, irritata per la suspense che stava creando.

"tu e Hamilton... siete molto amici", disse.

"sì, e allora?", sibilai.

"siete... solo amici?", mi chiese.

"non vedo perchè dovrei risponderti, non sono problemi tuoi"

"no, è vero", ammise, "però io lo conosco molto meglio di te"

"e allora?"

"e allora stai attenta Sofi, non è uno... che fa l'amico, ecco"

"ma cosa ne vuoi sapere tu?", domandai, alzando il tono della voce senza quasi accorgermene.

"lo so, io lo conosco".

"e anche se fosse? non sono problemi tuoi, sono libera di fare quello che mi pare con Lewis"

Non disse nulla, come sempre.

"e smettila di stare sempre in silenzio. Ogni volta che parliamo di qualcosa di rilevante, tu ti nascondi dietro quei tuoi fottutissimi silenzi, in cui non lasci trasparire nulla. Ti sei mai chiesto perchè io mi sia avvicinata a Lewis? Credi che abbia voluto tutto questo?", gridai, in preda alle lacrime, "sei stato tu a lasciarmi, e lui è stato l'unico, escluso Carlos, a preoccuparsi di come stessi. Avrei voluto parlare con te ogni giorno, vivere con te, ma tu hai reso tutto questo impossibile. Non è certo colpa mia se siamo ridotti così, ora pagane le conseguenze".

"Charlotte aspettava una figlia mia, cos'avrei dovuto fare?", chiese.

"avresti potuto fare da padre ad Adele anche senza tornare con sua madre", risposi, irata, "se ti sei rimesso con Charlotte, significa che la ami"

"l'ho amata".

Restai lì, come se Charles mi avesse appena colpito con una lancia, dritto nel cuore.

"ed ora..."

"lo sai chi amo"

Mi misi a ridere, cercando di reprimere le lacrime che ormai si facevano sempre più insistenti. Avrei voluto inginocchiarmi, urlare di dolore fino a non avere più voce, piangere fino a che non mi fosse rimasta più acqua in corpo.

"è buffa la vita", commentai, guardando fuori dalla finestra, per evitare in ogni modo il suo sguardo.

"lo sto facendo per Adele...", disse Charles, avvicinandosi a me fino a sfiorarmi il braccio.

Mi scostai. "Stare qua con te mi sta uccidendo, sei sul serio così stupido da non capirlo?", gli chiesi, esasperata.

"non voglio farti del male"

"il male me lo hai fatto ormai mesi fa, Charles", commentai, trovando per la prima volta il coraggio di guardarlo negli occhi. "ora sto solo cercando di far rimarginare la ferita, in qualche modo"

Mi avviai verso la porta, ma fui fermata da una sua mano, che si aggrappò al mio braccio.

Restai immobile, con gli occhi chiusi, perchè non vedesse la lacrime, quelle sottili gocce d'acqua che erano come parte del mio sangue, sgorgato da una ferita che non se ne sarebbe andata mai.

Percepii le sue labbra sul bordo della mia bocca.

Riaprii le palpebre. 

Guardai per qualche istante in quei suoi meravigliosi occhi verdi, mi persi ancora una volta nella loro immensità.

Mi sporsi in avanti, e gli stampai un bacio. Solo che questa volta era dritto sulle sue labbra. Le sentii, ancora una volta, così dolci, morbide.

Mi staccai velocemente da lui, e fuggii via. Aprii la porta per poi chiudermela immediatamente alle spalle.

Non volevo vedere la sua reazione a quel bacio, non volevo capire cosa avesse provato in quel momento.

Toccare le sue labbra era stato come pugnalarmi da sola, con la più affilata delle lame.

Tornai in macchina, misi in moto, e partii alla volta di Milano.

"Addio", sussurrai.

Velocità II Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora