l'unica cosa

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Inutile dire che uscita da quella porta non feci altro che piangere: avevo perso ciò che di più prezioso avevo al mondo, l'unica cosa che ero convinta non mi avrebbe mai abbandonata.

Camminai in giro per Milano, senza mai fermarmi. Non capivo più nemmeno dove stessi andando, ma non me ne fregava niente.

Mi faceva schifo il mondo, Charles, Charlotte, persino la gente che passava per strada, che non si preoccupava nemmeno di una ragazza che camminava piangendo a dirotto.

I miei piedi ormai proseguivano per forza di inerzia, accompagnati dal leggero ticchettio della pioggia che aveva cominciato a cadere... in una giornata di merda, un tempo di merda... come avrebbe potuto essere altrimenti?

Non avevo mangiato... era dalla colazione che non mettevo nulla sotto i denti, ma non me ne fregava nulla. In quel momento avrei voluto morire.

Dal momento in cui ero uscita dal quel mio maledetto appartamento, non avevo mai smesso di piangere.

Mi lasciai cadere su una panchina, fregandomene del fatto che fosse bagnata. Non sapevo nemmeno bene dove mi trovassi: forse da qualche parte verso San Siro, pensai, osservando ciò che mi circondava.

Portai i miei piedi sulla panchina, abbracciando le gambe come se quell'azione potesse cancellare ciò che era appena accaduto.

Nulla, però, avrebbe potuto farlo: Charles mi aveva lasciata, era tornato con Charlotte, la sua ex, tra l'altro madre del suo futuro figlio.

Rincasai svogliatamente verso mezzanotte. Non c'era nessuno: almeno era stato in grado di farmi il favore che gli avevo chiesto.

Notai che aveva lasciato il suo autografo appeso al muro, così lo afferrai e lo nascosi sotto al divano. Probabilmente non l'avrei mai tirato fuori da lì, pensai.

Inutile dire che quella notte non chiusi occhio: continuavo a sentire nella mia testa l'odiosa voce di Charlotte. Appena mi assopivo, vedevo di fronte a me l'immagine dei due monegaschi insieme, felici.

Mi alzai dal letto verso le 5, andai in cucina e sbocconcellai un paio di biscotti, giusto per non morire di fame. Non che me ne interessasse molto, comunque.

Osservai l'appartamento. Era esattamente uguale a com'era prima che Charles entrasse nella mia vita.

Uscii di casa subito dopo, gettandomi nuovamente nella folla milanese, sperando che ciò potesse in qualche modo farmi sentire meglio ma, ovviamente, non servì a nulla.

Mentre il mio sguardo seguiva la tranquilla acqua dei Navigli, mi fermai per riflettere qualche istante: dovevo smetterla di piangere. In fondo avevo sempre saputo che l'amore con un pilota di Formula 1 era pressoché impossibile.... di che mi preoccupavo?

Provai a pensare a qualcosa che avrebbe potuto farmi stare meglio, anche solo di poco. Dopo qualche istante, capii.

Era quella la soluzione, l'unica cosa che mi avrebbe permesso in qualche modo di superare le lacrime, e di ricominciare a vivere.

Trassi un profondo respiro, e afferrai il mio iPhone: in quel momento l'unica cosa di cui avevo bisogno, era sfrecciare in pista. Lo sapevo, ormai quello era diventato l'ossigeno che mi permetteva di vivere, l'unico espediente per dimenticare la mia vita, anche solo per cinque minuti.

L'unico modo per poter accedere ad una pista però, era contattare un pilota. Me ne era rimasto solo uno.

Cercai di schiarirmi la voce prima di comporre il numero, sperando che non si capisse il mio stato.

"pronto?", chiese Carlos, rispondendo alla mia chiamata.

"ehi ciao, sono Sofia"

"ciao bellezza, come stai?"

"non troppo bene, comunque..."

"è successo qualcosa?", chiese.

"no, nulla di che... però devo chiederti un favore enorme. Io oggi verrei giù a Maranello... ti trovo lì?"

"sì, sono qua con Charles"

"preferisco che Charles non sappia nulla", risposi secca.

Il madrileno mi fece qualche domanda, ma dissi che gli avrei raccontato l'essenziale non appena ci fossimo visti di persona.

Una volta tornata  a casa, presi una borsa e ci infilai un paio di vestiti, mentre con il telefono prenotavo una stanza in un hotel poco distante dalla sede della Ferrari. Milano, purtroppo, era distante da lì, e andarci in giornata sarebbe stata una follia ancora più grande di quella che già stavo facendo.

Salii nella mia fidata 500 e misi in moto: quello sarebbe stato l'inizio di una nuova vita, promisi a me stessa.

Il viaggio, come previsto, fu lungo, e non mancò nemmeno di vari ingorghi lungo la strada. Dopo circa due ore e mezza vidi comparire il paese di Maranello, la patria dei motori, della velocità.

Come d'accordo, io e Carlos ci incontrammo in un piccolo bar del centro.

"va tutto bene?", mi chiese, dopo avermi abbracciata.

Mi sfilai gli occhiali da sole, sapientemente indossati per nascondere gli occhi gonfi, reduci da ore di lacrime e una notte completamente in bianco.

Lo spagnolo mi osservò per qualche istante: "vi siete lasciati, vero?", mi chiese.

Annuii. "sì, ma non sono qui per piangermi addosso. Sto per chiederti un favore enorme, che forse non potrai nemmeno farmi, ma almeno ci devo provare", dissi, a mo' di premessa.

Vidi gli occhi di Carlos posarsi sui miei, e sorridere. "se ti conosco bene, mi stai chiedendo di farti correre in pista"

Sorrisi e allargai le braccia, "ok, non ho segreti per te", constatai ridendo.

"sì, posso farlo", concluse.

Gli saltai addosso, abbracciandolo. "grazie Carlos, tu non puoi capire quanto questo significhi per me"

Fu così che un'oretta dopo, mi trovai di nuovo ad indossare la classica tuta rossa da pilota, con il suo annesso casco.

Salii nella Ferrari 488 Pista che mi era stata messa disposizione, accesi i motori, trassi un profondo respiro, e, alla fine, premetti il piede sull'acceleratore.

Di colpo ogni preoccupazione volò via insieme a me, grazie alla velocità.

Era sempre lei, che nella mia vita tornava come un mantra. Feci qualche giro, destreggiandomi tranquillamente tra curve e rettilinei. Era la sensazione più bella di sempre.

Ero migliorata tantissimo dalla prima volta in cui avevo messo piede in un'auto di quel calibro: ora ero io a comandare la pista.

Quando mi fermai, vidi che Carlos era rimasto ad assistere alla mia performance, per tutto il tempo.

"sei bravissima, giuro", disse, porgendomi il telefono, con cui aveva fatto qualche video.

Gli sorrisi. "grazie Carlos, sul serio"

Mi voltai per un istante a guardare la pista. Ora, che ero fuori dall'auto, sentivo in bocca l'amaro sapore della malinconia.

Osservai l'auto. Era la stessa che Charles guidava tutti i giorni.

Scossi la testa: dove dimenticare, punto e basta.

"sofi?", mi richiamò Carlos, posandomi una mano sulla spalla.

Mi voltai verso di lui, senza dire nulla, consapevole di avere gli occhi lucidi.

"tornerete insieme, fidati"

"non lo so Carlos. In due giorni è cambiato tutto"

"ma non siete cambiati voi"

Velocità II Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora