biglietti

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Ero in hotel, in una stanza che mi era stata riservata, nella cittadina di Francorchamps, situata vicino alla famosissima pista nella quale in quei giorni si sarebbe tenuto il Gran Premio del Belgio.

Sentii bussare alla porta: era un cameriere che mi comunicava che un auto era di fronte all'ingresso principale, pronta per portarmi direttamente al paddock.

Lo ringraziai, afferrai la mia borsa, e scesi lentamente le scale.

"ciao", mi disse l'autista, che ormai mi conosceva alla perfezione.

"ciao", risposi sorridente, entrando nell'auto di cui lui mi aveva gentilmente aperto la portiera.

Partimmo alla volta della pista.

Restai in silenzio, e pensai. Pensai a ciò che io e Charles ci eravamo detti l'ultima volta che ci eravamo visti, pensai ai suoi occhi verdi, al suo sorriso, a quel bacio sulle labbra. Pensai al fatto che ci amavamo, ma che eravamo più distanti che mai, al fatto che avrei dovuto vederlo, parlargli, intervistarlo, cercando di non piangere, di non scappare via.

Quando scesi dall'auto, un membro dello staff della pista mi accompagnò fino al paddock, mentre una marea di tifosi cercava di parlarmi, di avvicinarsi a me.

Avrei voluto fermarmi, assecondare le loro richieste, ma i responsabili della sicurezza li allontanavano da me, come spazzatura.

Odiavo quella situazione: anche io ero stata parte di quelle persone che volevano disperatamente vedere i piloti, entrare nelle loro vite.

"Lasciateli passare", avevo detto una volta ad una guardia.

Ricordo ancora la sua risata, nel momento in cui le mie parole gli giunsero alle orecchie. "lei è pazza", mi disse.

Non capivo. Forse ero troppo diversa da quel mondo per farne sul serio parte.

Come ogni volta, fui raggiunta da Nicole, che mi truccò e mi vestì nel modo migliore possibile.

Uscii dal mio camerino, e per poco non mi scontrai con Charles.

"ehi", mi disse, alzando lo sguardo fino ad incontrare i miei occhi.

"ehi", risposi, deglutendo. Sentii una vampata di calore invadere le mie guance, ma per fortuna potei solo immaginare la loro colorazione.

"ti... ti sta molto bene", disse, indicando il vestito rosso che indossavo. Era molto corto ed attillato.

"grazie", dissi, abbassando lo sguardo.

Ci salutammo, ed ognuno tornò al suo lavoro. Scesi le scale, e giunsi fino al piano inferiore del paddock.

"Ciao Carlos", salutai il madrileno, che stava sistemando la sua tuta su un appendiabiti accanto alla sua auto.

"hola", esclamò, sorridente.

Stavo per sedermi sul mio solito divanetto, quando sentii una voce che mi chiamava.

Solo in quel momento mi accorsi della figura di Lewis Hamilton che si sbracciava per richiamare la mia attenzione.

Mi ricordai che chi non apparteneva allo staff Ferrari non era autorizzato ad entrare nel paddock, così mi incamminai verso l'esterno.

"ciao", lo salutai, venendo verso di lui, sorridente.

"ho qui qualcosa per te", mi comunicò.

Alzai un sopracciglio con fare interrogativo.

Lewis mi allungò una busta.

Quando la aprii, ne uscì un biglietto aereo per Londra.

"PRIMA CLASSE?" urlai, esterrefatta.

L'inglese si mise a ridere. "devi rilassarti, te l'ho detto"

"e... questo è solo andata", obiettai, girando e rigirando il biglietto nel tentativo di leggere la parola "ritorno", da qualche parte.

"per il ritorno ho altri progetti", ammise, senza mai smettere di sorridere.

"tu mi preoccupi ogni giorno di più", commentai, ridendo.

"non ti ho nemmeno chiesto come stai", constatò Lewis, dopo qualche istante di silenzio.

Sorrisi. "bene, grazie... tu invece? sei pronto per la gara?", gli chiesi.

"sono nato pronto", commentò, facendomi l'occhiolino.

"non ti farò gli auguri", aggiunsi ridendo, "sono italiana e come tale tiferò Ferrari per sempre".

Lewis si mise a ridere. "non avrei mai sperato nel contrario, credimi".

Ci salutammo con un abbraccio di fronte al paddock Ferrari, mentre tutti intorno a noi diventavano ogni secondo più nervosi, visto l'imminente inizio delle qualifiche.

Mentre rientravo, feci gli auguri a Carlos, che si era appena infilato la sua tuta.

Solo in quel momento mi resi conto che lì c'era anche qualcun altro, qualcuno a cui tenevo più di tutti gli altri.

Charles.

Aveva visto tutto, ogni risata, ogni abbraccio.

Non so perchè, ma sentii una punta di dolore colpirmi il petto. Mi fece più male del previsto.

"Buona fortuna Charles", gli dissi, fermandomi di fronte a lui.

Vidi le sue labbra piegarsi in un sorriso. "sarai sempre il mio portafortuna", ammise, guardandomi negli occhi.

"non ne hai bisogno", commentai, cercando di distogliere lo sguardo da quelle sue meravigliose fossette.

Mi bastò sbattere le ciglia un istante, per trovarmi in men che non si dica circondata dalle forti braccia di Charles.

Sentii il suo profumo invadermi, la sua pelle a contatto con la mia, i suoi capelli sfiorarmi il volto.

Non mi ritrassi, anzi. Strinsi Charles come fosse la cosa più preziosa che avevo al mondo, perchè, in fondo, lo era.

Avrei voluto piangere, perchè mai avremmo potuto andare oltre a quegli abbracci, ma non lo feci. 

Per la prima volta sentivo una delle infinite schegge del mio cuore tornare al suo posto. Era poco, certo, ma era meglio di nulla.

Sciogliemmo lentamente l'abbraccio, entrambi consapevoli che quella magia difficilmente sarebbe tornata tra di noi.

"grazie", sussurrò Charles, prima di stamparmi un bacio in fronte e scappare via.

Quando mi voltai, lo vidi infilarsi il casco, e poi entrare in auto.

Notai Carlos che faceva la stessa cosa, così decisi di salutarlo con un cenno della mano.

Mi resi conto che in tutto ciò, nella mia mano era ancora ben stretto il biglietto d'aereo che mi avrebbe scortata fino a Londra.

Salii le scale, fino a raggiungere il mio camerino.

Quando vi entrai, notai che era deserto: probabilmente Nicole si era infilata in qualche angolo del paddock per vedere le qualifiche.

Posai il biglietto su un tavolo, e alzai lo sguardo.

Di fronte a me vidi la mia immagine riflessa su uno specchio. Ma non ero io. La ragazza davanti a me, con quel suo vestito rosso e la pretesa di essere felice, aveva uno sguardo solcato dal dolore della solitudine.

Perchè, in fondo, ero questo: sola.

Innamorata di un uomo irraggiungibile, di un uomo che mi amava, ma che era una persona tanto responsabile da pensare prima di tutto al bene di sua figlia, compromettendo il proprio.

Non riuscivo ad odiarlo. Aveva ragione: aveva preso la decisione più giusta.

Mi scoprii a piangere, ancora una volta, pensando al passato, o al futuro che avrebbe potuto essere ma che non sarebbe stato mai.

Osservai il biglietto. 

"Londra, salvami tu", sussurrai, stringendolo a me.

Era l'unica speranza che mi era rimasta: fuggire.

Velocità II Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora