Maranello

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Quando mi svegliai, mi ci volle un po' per rendermi conto che mi trovavo nella mia camera di Conegliano, dove avevo trascorso tutti i primi diciannove anni della mia vita, prima di trasferirmi a Milano per l'università.

Mi trascinai stancamente verso il piano di sotto, dove mia mamma mi attendeva sorridente con una tazza di latte caldo.

Dio quanto odiavo il latte.

Lo bevvi fingendo che mi piacesse, come avevo sempre fatto prima di essere libera di fare colazione come volevo.

Misi i miei bagagli in macchina, e nel giro di un paio d'ore fui di nuovo in strada, alla volta di Maranello... non avevo mai guidato così tanto in vita mia.

Percepivo un po' di ansia pungermi il petto: avevo paura di vedere Charles, ma, soprattutto, di capire che poteva essere felice anche senza di me.

Era quello ciò che mi faceva più paura: il suo sorriso. Se lo avessi visto sorridente come sempre, voleva dire che la nostra separazione non lo aveva scalfitto, che ero io quella che aveva avuto bisogno di giorni e giorni per tornare ad una parvenza di normalità.

In occasione di quel particolare colloquio, indossavo dei Jeans, con sopra una camicetta estiva, rosso Ferrari. Ai piedi portavo delle normalissime Vans: quando guidavo, dovevo lasciare da parte le mie mire di eleganza. 

Arrivai a Maranello in circa tre ore, con il cuore che batteva forte nel petto. Le mie mani tremavano, consapevoli che ciò che stava per accadere era la realizzazione di un sogno, ma allo stesso tempo la condanna alla continua vista di Charles, dei suoi meravigliosi quanto terribili occhi verde smeraldo.

Quando uscii dalla mia auto, mi venne incontro una donna alta, molto bella, dai lunghi capelli neri che le ricadevano in modo ordinato sulle spalle.

"ciao. Sofia, giusto?", chiese, "io sono Lavinia"

Annuii, "piacere", le dissi, sorridendole.

Seguii i suoi passi sicuri, che mi condussero all'interno dello stabilimento Ferrari. Ci fermammo alla reception.

"Anna, hai preparato il badge che ti avevo chiesto?", chiese, sporgendosi verso la receptionist, che le fornì immediatamente una tessera rossa.

Lavinia me la diede, invitandomi caldamente a non perderla.

"qui farsi fare dei nuovi badge è un'impresa", mi confidò, una volta che ci fummo allontanate.

Salimmo velocemente le scale. Faticai a stare dietro a quelle gambe snelle, che si muovevano agili come quelle di una gazzella.

Era evidente che Lavinia era abituata a discaricarsi quotidianamente tra quelle infinite scale.

"eccoci qua", mi comunicò, una volta giunte di fronte ad una porta bianca, che scoprii incutermi parecchio timore.

"accomodati pure", mi disse, dopo averla aperta, indicandomi dei divanetti.

Lasciai cadere la mia borsa sulla sedia accanto a me. Restai lì, con le gambe accavallate, attendendo che qualcuno mi dicesse cosa fare.

Mi scoprii a mordermi le unghie. Lo facevo sempre quando ero nervosa.

Qualche minuto dopo, la testa corvina di Lavinia spuntò da dietro una porta.

"vieni pure", disse la sua voce candida.

Obbedii, alzandomi dalla sedia e varcando la soglia da cui poco prima era comparso il suo volto.

Feci così il mio ingresso in un ufficio enorme, arredato in modo molto moderno, costellato di manifesti e gadget Ferrari.

"buongiorno", disse la voce di un uomo, da dietro la scrivania.

"buongiorno", risposi, avvicinandomi.

L'uomo mi invitò a sedermi con un cenno della mano.

"suppongo si stia chiedendo perchè l'abbiamo chiamata", constatò, ridendo.

"in effetti", risposi, sorridendo per alleggerire la tensione in me.

"vogliamo farle una proposta di lavoro: l'abbiamo osservata per molto tempo sui social, abbiamo notato la sua spiccata passione per le auto, e, tra l'altro, la sua bravura in pista"

Sorrisi, riconoscente.

"crediamo che una ragazza come lei, che su Instagram è stata in grado di attirare l'attenzione di migliaia di persone in così poco tempo grazie alle sue corse senza freni, possa giovare molto alla nostra Scuderia"

"io... giovare... a voi?", chiesi, sempre più confusa.

"sì. Le stiamo proponendo di gestire i profili social della Ferrari: Instagram, TikTok e, ovviamente, i canali YouTube e, perchè no, Twitch. Sarà a contatto con i piloti, ma credo che questo non sia problema visto l'ottimo rapporto tra voi"

Lo fissai, evitando di precisare che il rapporto con un di loro si era danneggiato per sempre.

"cosa... dovrei fare?", chiesi.

"dovrebbe seguire i piloti nei weekend di gara, e ogni tanto venire qui a Maranello per delle interviste o delle Challenge. Sappiamo che è una studentessa, per cui le garantiremo tutti i trasporti e le comodità di cui avrà bisogno. Avrà sempre tutto il tempo che vorrà per studiare, solo che alcune volte sarà costretta a farlo da un jet privato invece che dal suo appartamento a Milano, ecco tutto. Sarà ovviamente stipendiata regolarmente"

Fissai il foglio di carta che l'uomo mi porse. Una vocina dentro di me continuava a dirmi "non farlo Sofi, ti farai solo del male".

Eppure io sentivo il bisogno di provare quel dolore, sentivo di dover fare questo passo, di dover prendere in mano la penna e firmare quel cavolo di contratto.

"cosa ha deciso di fare?", chiese Lavinia, sorridente.

Voltai la testa verso la finestra e vidi, in lontananza, la pista, in tutto il suo splendore.

Perchè in fondo lo sapevo che era quella la mia casa.

Afferrai la penna, chiusi gli occhi, trassi un profondo respiro, e firmai.

Ero certa che non appena visto Charles, me ne sarei pentita amaramente, ero certa che quella firma era stata una condanna ad infinite lacrime, avevo appena costretto la mia ferita a non rimarginarsi mai.

Sorrisi. Mi sentivo leggera, nonostante il mio cuore battesse rumorosamente nel petto, scandendo i secondi.

"allora ci vediamo qui tra una settimana: le presenterò il team con cui dovrà avere a che fare, ci sarà poi uno shooting nel museo insieme ai piloti", disse Lavinia, dolcemente, accompagnandomi verso la porta.

Sorrisi. Eccoci qua: avrei visto Charles, magari sarei anche stata costretta a parlargli, a leggere nei suoi occhi la felicità, nonostante la mia assenza nella sua vita.

Quando uscii dalla fabbrica, mi voltai.

 Ammirai l'imponenza di quelle mura, il rispetto che incuteva quel simbolo all'ingresso.

Ne ero parte, ce l'avevo fatta.

Ero in quel mondo.

Velocità II Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora