vorrei

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Guardai ancora una volta il riflesso della mia figura sullo specchio del mio camerino, ammirando il vestito rosso che indossavo, molto corto, e la perfetta piega dei capelli, che mi ricadevano lisci sulle spalle.

Difficilmente avrei fatto l'abitudine all'idea di essere bella, di essere una persona che la gente sperava di incontrare, come era accaduto qualche giorno prima con Luce.

"grazie Nicole", dissi, uscendo dalla porta e tuffandomi nella frenesia del paddock.

"buongiorno", mi salutarono un paio di ingegneri, mentre percorrevo un lungo corridoio, che mi avrebbe portata nella zona interviste pre-gara.

"ciao Sofia", esclamò Mattia Binotto, vedendomi arrivare.

"ciao. Sai per caso dov'è Carlos?", chiesi, preferendo intervistare per primo il madrileno.

Il Team Principal fece spallucce. "sul serio, non ne ho idea", rispose, "se lo trovi digli di muoversi che gli devo parlare".

Annuii, e uscii dalla stanza, rischiando di scontrarmi con un gruppetto di membri del Team Ferrari che confabulavano idee su possibili strategie.

Li superai velocemente, scendendo le scale e andando verso il pian terreno del paddock.

"ciao Carlos", gli dissi, scorgendolo di spalle, chinato sulla sua macchina.

"Hola!", esclamò, girandosi verso di me. "Cómo estás?"

"benissimo, grazie. Tu sei pronto per la gara?", chiesi, sorridendogli.

"sono nato pronto", esclamò, fiero, per poi mettersi a ridere.

"Vieni su che ti devo intervistare", gli dissi, "e poi Binotto ti vuole parlare"

Carlos sbuffò alla seconda affermazione. "arrivo", mi comunicò, allontanandosi un istante per parlare con alcuni meccanici che erano chinati ad armeggiare con la sua auto.

"hai paura che te la rovinino?", gli chiesi, per prenderlo in giro, quando tornò verso di me.

"I meccanici sanno essere come le mani del diavolo", affermò, serio.

Mi misi a ridere, "povero Carlos", aggiunsi, con un tono da "mamma preoccupata".

Salimmo le scale chiacchierando, percorremmo un corridoio, e giungemmo finalmente nella stanza per le interviste.

Notai che Binotto se ne era andato, lasciando il posto a... Charles Leclerc.

"ciao. Sono venuto qua per l'intervista...", disse, probabilmente osservando il mio sguardo.

"Stai pure lì, intanto intervisto Carlos"; gli comunicai, indicando nel frattempo una poltroncina allo spagnolo dietro di me.

Accesi la telecamera ed iniziai a fargli domande, cercando di allontanare il più possibile il momento dell'intervista al mio ex fidanzato.

"Grazie Carlos, abbiamo finito", gli comunicai poi, dopo qualche minuto.

Lo vidi sorridere, per poi girarsi leggermente verso Charles, per spiare il suo sguardo.

Notai che il monegasco stava guardando me, mentre intervistavo il suo compagno di squadra, mentre gli sorridevo, cosa che, sapeva perfettamente, non avrei più fatto con lui.

"siediti pure", gli dissi, cercando di mantenere un tono sufficientemente gentile.

Charles si avviò verso di me, prendendo il posto di Carlos sulla poltroncina rossa per le interviste.

Stavo per accendere la telecamera quando, improvvisamente, il suo iPhone iniziò a suonare.

"scusatemi un istante", disse, alzandosi in piedi mentre osservava lo schermo.

"Bonjour Char...", inziò, interrompendosi subito. "Oh mon Dieu!", esclamò, a voce alta.

Io e Carlos, nel frattempo, ci scambiavamo sguardi dubbiosi.

"che succede?", gli chiese lo spagnolo, non appena Charles ebbe riattaccato.

"Charlotte... Charlotte ha partorito!", esclamò, con un enorme sorriso stampato in volto, "sono diventato padre!"

Per un attimo tutto intorno a me si fece ovattato, coperto da quel meraviglioso sorriso, che però non era rivolto a me.

Percepivo la rabbia salire dentro di me, un morso allo stomaco che mai se ne sarebbe andato.

Lui ora era padre, e la madre di sua figlia non ero io.

Sentii in lontananza la voce di Carlos che chiedeva il nome della bambina, e la voce di Charles che rispondeva, raggiante, "Adèle".

Mi alzai di scatto, cercando di fermare le lacrime.

"complimenti", sibilai, passando accanto al monegasco, per poi uscire dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle.

Corsi giù dalle scale alla velocità della luce, schivando gruppi di ingegneri, di meccanici.

Quando finalmente giunsi all'aperto, mi lasciai cadere sul muretto che separava i box dalla pista, traendo respiri profondi.

La mia vista era completamente annebbiata dalle lacrime, tanto da non rendermi conto che al mio fianco era comparso Lewis Hamilton.

Sentii le sue braccia stringermi, le sue labbra stamparmi un bacio in fronte.

Non disse nulla, lasciò solo che le mie lacrime gli bagnassero i vestiti, senza mai mollare la presa.

Ed io piansi, piansi tutte le lacrime che avevo sempre represso. Le lasciai scorrere sul mio volto, per poi ricadere sull'asfalto, come non fossero mai esistite.

"l'unica cosa che vorrei", sussurrai, "è che quel sorriso fosse per me"

Sentii le braccia di Lewis mollare la presa, poi vidi la sue mani asciugarmi le lacrime sulle guance.

"lo sarà, fidati", mi disse, con il tono più dolce che avessi mai udito.

Lo abbracciai, appoggiando il volto nell'incavo del suo collo.

"grazie Lewis, per tutto"

Restammo lì una mezz'oretta, fino a che le mie lacrime non si furono calmate, per lasciare spazio ad un timido sorriso.

"lo vedi come sei bella quando sorridi?", mi disse Lewis.

Non risposi: fissavo l'asfalto nero sotto di me, cercando di non ricominciare a piangere.

"senti...", iniziò l'inglese accanto a me. "tra poco ci sarà la pausa invernale"

Alzai lo sguardo, fino a raggiungere il suo.

"ti va di venire qualche giorno con me a Londra?", chiese. "ti farò da guida, staccherai un po' il cervello dal mondo Ferrari, vivrai nella nebbia e nella pioggia londinese come faccio io ogni giorno".

Lo fissai. Sembrava sincero.

Cercai nella mia mente ogni possibile scusa che potesse allontanarmi dalla prospettiva di qualche giorno a Londra con Lewis Hamilton, ma non ne trovai neanche mezza.

"ok", risposi.

"seria?", chiese, incredulo.

"mi hai invitata, io ho accettato... vedi tu", commentai, ridendo.

"allora dico alla mia cameriera di preparare la stanza per gli ospiti tra... quando iniziano le vacanze?", chiese.

"tre settimane"

"cacchio, una vita", commentò, come se se ne fosse reso conto solo in quel momento.

Feci spallucce, per poi mettermi a ridere.

"non vedo l'ora", gli confessai.

"neanch'io"

Ci salutammo con un abbraccio, per poi tornare ai rispettivi paddock e dare il via agli ultimi preparativi prima della gara.

Era incredibile quanto mi facesse bene avere accanto un amico come lui, sempre pronto a consolarmi, a farmi sorridere.

Era vero, viaggiare per me era sempre stata lo soluzione ad ogni problema e, ne ero certa, lo sarebbe stato anche questa volta.

Velocità II Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora