rimorsi

323 13 0
                                    

Aprii gli occhi.

Dio, cos'avevo fatto.

Percepii una morsa allo stomaco, mentre nella mia mente tornava in mente tutto, dal primo all'ultimo dettaglio.

Mi voltai leggermente, e vidi il volto di Lewis posato sul cuscino, immerso nel sonno.

Cos'avevamo fatto?

Mi resi conto di non avere nulla addosso. Notai che ad un appendiabiti in fondo alla stanza era appesa una felpa, per cui mi alzai, e la afferrai, per poi indossarla.

Osservai Lewis, placidamente addormentato. Era sereno: lui non aveva fatto nulla di male.

Ero io quella sbagliata, io quella che non si era tirata indietro, nonostante sapesse che stava sbagliando.

Mi diressi lentamente verso il terrazzo, attenta a non fare rumore: aprii la porta, ed uscii.

Subito una ventata di aria gelida mi invase, facendomi rabbrividire.

Sentii le lacrime pungermi il volto, sempre più insistenti. Cercai di asciugarle, ma non c'era nulla da fare.

Mi posai contro il parapetto del terrazzo.

Mi sentivo male: percepivo in bocca un gusto amaro... il gusto della consapevolezza di aver fatto l'errore più grave di tutti.

Osservai l'orizzonte: Londra era meravigliosa, con le sue luci notturne, le sue infinite sfumature. Era bellissima, ed io l'avevo rovinata per sempre, associandola ad un ricordo che mai sarebbe scivolato via.

Ero un mostro.

Mi portai le mani sul volto, singhiozzando. Volevo charles, volevo sentire le sue braccia stringermi, le sue labbra baciarmi, la sua voce parlarmi, dirmi quanto mi amava.

Ma lui non era lì, non era con me, e non avrebbe potuto baciarmi, ne dirmi che mi amava.

Io ero sola.

"prenderai la morte stando qua fuori", disse la voce di Lewis, dietro di me.

Percepii un morso allo stomaco.

"non volevo svegliarti... scusa", dissi, cercando di non far trasparire la mia tristezza.

"non ho mai dormito", ammise. Sentii i suoi passi avvicinarsi, vidi il suo corpo posarsi al parapetto del terrazzo, accanto al mio.

Restò in silenzio per un istante, un istante in cui l'unico suono era quello dei nostri respiri, intirizziti dal freddo.

"lo ami molto, vero?", chiese Lewis, voltando il suo sguardo verso di me.

Deglutii, cercando di non ricominciare a piangere. "Sfortunatamente per me, sì"

"tra noi non è successo nulla, ok?", disse, prendendomi la mano.

Mi voltai verso di lui. "grazie", risposi, riconoscente, "anche se non credo cambi molto... io e Charles non stiamo nemmeno insieme"

"per ora"

"ha una figlia con Charlotte, non tornerà mai con me", obiettai.

"sì, invece"

Risi, per non piangere. "cosa ti dà tanta sicurezza?", chiesi, incuriosita.

"il modo in cui vi guardate. Siete indivisibili"

Deglutii. Non riuscivo a dire nulla: forse era vero, chi lo sa. Che ci amassimo era indubbio... il problema era Charlotte.

"a volte amarsi non porta a stare insieme", commentai, amareggiata.

"lo so, ma nel vostro caso sì, credimi", concluse, voltandomi verso di lui in modo che i suoi occhi potessero incontrare i miei.

Lo fissai per qualche istante, poi lo abbracciai. Nonostante tutto era il mio migliore amico, colui che mi avrebbe sempre voluto bene, che mi avrebbe sempre supportata, indipendentemente dalle mie scelte.

E questa volta le mie scelte sarebbero state parecchio dure da digerire, per me in primis.

"grazie", sussurrai.

"e di che?", mi chiese, accarezzandomi i capelli lentamente.

"di esistere"

Non disse nulla. Sapeva cosa gli avrei chiesto, lo sapeva perfettamente. Lasciò che le mie lacrime gli bagnassero la felpa, creando una macchia scura in corrispondenza della spalla destra.

"Lewis...", iniziai, senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi.

"lo so", mi zittì. "mi mancherai"

Sciolsi l'abbraccio, per poi fermarmi per qualche istante a guardarlo.

Gli stampai un bacio sulla guancia, e rientrai in casa.

Non mi guardai mai indietro, nemmeno per una volta. Mi diressi velocemente in camera mia, riempii le valigie, e scesi le scale.

Dopo aver aperto il portone d'ingresso, scoprii che Lewis mi aveva chiamato un Taxi, che era lì, ad attendermi.

Inserii le valigie nel bagagliaio, e salii nell'auto. Osservai la casa allontanarsi lentamente, attraverso il finestrino.

"dove la porto?", mi chiese il tassista.

"aeroporto di Heathrow, grazie", risposi, mentre attraverso il telefono verificavo la presenza di un posto libero nel primo volo per Milano.

C'era, per fortuna.

Era l'ultimo.

Sembrava che il destino mi avesse riservato quel sedile, sapendo perfettamente che mi sarebbe servito.

Mentre l'auto sfrecciava, osservai le prime luci dell'alba illuminare Londra, e le sue infinite vie.

Era bella, non c'era niente da dire.

Una volta giunti a destinazione, porsi i soldi al tassista, e smontai.

Corsi all'interno dell'aeroporto, e mi resi presto conto che una valanga di persone viaggiava nelle ore più strane della giornata: tutto intorno a me era un pullulare di vita.

Mi diressi al bar, e mangiai una brioche mentre attendevo l'imbarco del mio volo.

Dopo una serie di controlli, riuscii finalmente a salire nell'aereo.

Mi sedetti sul mio sedile, e guardai il mondo fuori dal finestrino.

Pensai a Lewis, a come l'avevo abbandonato per evitare di avere qualsiasi problema con Charles.

Perchè la verità era che avrei dato qualunque cosa pur di tornare con quel maledetto monegasco, anche la mia stessa vita. 

Sarebbe tornato con me, ne ero certa: non avrei mai mollato, nemmeno dopo anni.

Noi eravamo anime gemelle, e nulla avrebbe potuto separarci, nemmeno Charlotte, nemmeno la loro figlia.

Sorrisi.

Forse, in fondo, quell'enorme cazzata era servita per farmi aprire gli occhi, per capire ciò che effettivamente volevo dalla mia vita.

E ciò che volevo era Charles, solo e soltanto Charles.

Velocità II Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora