La Grande Mela

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Decollammo all'aeroporto di Milano Linate al mattino presto.

Entrambi non vedevamo l'ora di giungere a destinazione. Avevo già visto New York, solo che ero con la mia migliore amica... con Charles sarebbe stata tutta un'altra cosa.

Amavo viaggiare, utilizzare gli aerei e andare da una parte all'altra del mondo, senza problemi. Sapevo cosa volesse dire essere privati della propria libertà, ed ora più nulla avrebbe potuto impedirmi di fare ciò che volevo, con la persona che amavo.

Charles mi stringeva la mano, mentre osservavo il mondo dal finestrino.

In realtà avevo sempre sofferto un pochino di vertigini: al cospetto di altezze troppo elevate, sentivo sempre uno strano formicolio alle gambe. Eppure la Sofia che conoscevo io, se ne era sempre fregata, cercando sempre di combattere questa paura come tutte le altre: affrontandola.

Ecco perchè non smisi mai di guardare il mondo fuori, anche durante il decollo e l'atterraggio.

Una volta scesi dall'aereo, il mio volto si illuminò in un sorriso: riconoscevo l'aeroporto in cui ero stata esattamente due anni prima.

Non era mutato nulla: lì l'unica diversa rispetto alla volta precedente ero io e, ovviamente, Charles.

Una volta usciti dall'aeroporto, salimmo sul primo Taxi che vedemmo di fronte a noi, il quale ci scortò direttamente in hotel. Quando mi resi conto del luogo in cui avrei alloggiato, restai completamente a bocca aperta: ci trovavamo di fronte al Ritz, uno dei posti più lussuosi e costosi del mondo.

"stai scherzando, vero?", chiesi a Charles, un po' inebetita, senza mai smettere di fissare l'imponente facciata dell'hotel.

Il monegasco si mise a ridere. "no. Seguimi, ti faccio strada"

Fu così che gli andai dietro, senza mai smettere di guardarmi intorno esterrefatta. Un paio di camerieri ci venne incontro, fornendoci immediatamente i badge per accedere alla nostra stanza e chiedendoci cosa volessimo per cena.

Sorrisi: ero abituata a scegliere i piatti dal menù, non certo a poter dire ciò che volevo. Era un mondo parallelo, fatto di lussi che le persone fuori da lì non potevano nemmeno immaginare.

Quando entrammo in camera, mi trovai in quella che avrebbe dovuto essere una "stanza", ma che in realtà era grande quanto l'appartamento di Charles a Montecarlo, e circa il quadruplo di quello in cui mi trovavo a vivere a Milano. 

Tutto era caratterizzato da toni di bianco, l'arredamento era una perfetta unione tra il classico e il moderno.

Una volta che il cameriere ci ebbe lasciati soli, mi diressi lentamente verso il balcone. Solo in quel momento mi resi conto dell'altezza a cui ci trovavamo: eravamo al trentesimo piano.

Ero letteralmente senza parole. Mi sembrava di essere sul tetto del mondo.

Mentre osservavo l'orizzonte, Charles mi prese per mano.

"sei felice?", mi chiese.

"credo che il mio sorriso dica tutto", risposi, ridendo.

Il pilota mi cinse il collo, e mi fece girare verso di lui, in modo che i nostri occhi fossero gli uni sugli altri. Mi accarezzò il volto con la mano, scostando dalla mia guancia una ciocca di capelli castani.

Mi impresse un bacio dolce sulle labbra, che approfondii, stringendomi a lui.

"ti amo, lo sai?", disse, sottovoce.

"credo di saperlo, sì", risposi maliziosa.

"dove vuoi andare?", mi chiese.

"ovunque", affermai, ridendo.

"ok, con calma ci arriverò", disse, ricambiando la risata, "intanto credo che cenare sull'Empire State Building vada bene lo stesso"

"sì, credo che mi accontenterò", risposi.

Uscimmo dall'hotel un'oretta dopo. Io indossavo un lungo abito nero, mentre Charles un elegante vestito maschile.

Notai che la gente si girava per guardarci. Tutti, probabilmente, riconoscevano nel mio ragazzo in pilota monegasco della Ferrari che sapeva sempre incantare il mondo intero, dentro e fuori dalla pista, nonostante le sue mille difficoltà.

La Formula 1 era uno degli sport più seguiti, e la scuderia Ferrari si era ogni anno confermata come il team più tifato al mondo,  nonostante spesso le sue decisioni fossero piuttosto discutibili. Eppure il cavallino rampante non avrebbe mai smesso di ammaliare il mondo, per quante difficoltà potesse avere.

Salimmo su un Taxi, che ci scortò fino all'Empire State Building, uno dei grattacieli più famosi del mondo.

Ogni volta che lo vedevo, era come fosse la prima volta: riusciva a togliermi il fiato, a farmi sentire incredibilmente piccola, ma allo stesso tempo fortunata anche solo per l'essere al suo cospetto.

Salimmo con l'ascensore fino ad uno dei piani più alti, in cui si trovava un lussuoso ristorante.

Cenammo, senza mai smettere di osservare il panorama che si stagliava di fronte a noi. Era pazzesco.

Charles POV

Guardavo gli occhi di Sofia, marroni, dolci come non mai. Ammiravo i riflessi biondi dei suoi capelli castani, i lineamenti del suo volto, e la grazia di ogni suo movimento.

Non mi sarei mai stancato di fissarla, anche solo per dire: "lei è la mia ragazza".

Ero felice, perchè vederla sorridere era la cosa che amavo di più al mondo.

Proprio in quell'istante, sentii una notifica giungere al mio iPhone.

Osservai lo schermo, e sentii il mio stomaco serrarsi.

Diceva: "Charles, comment vas-tu ? Je dois absolument te parler.".

Osservai il nome di chi l'aveva mandato, anche se non ne avevo bisogno. Sapevo perfettamente di chi si trattasse.

Era Charlotte.

Probabilmente Sofia si accorse che il mio sguardo si era improvvisamente fatto più cupo, perchè chiese: "c'è qualcosa che non va?"

"no... tranquilla. E' solo Carlos che mi parla di allenamenti proprio nei momenti in cui non ne ho la minima voglia", dissi, cercando di sorridere per sembrare tranquillo.

Ma non lo ero.

Se Charlotte voleva parlarmi, voleva dire che sarebbe dovuta rientrare nella mia vita, dopo che avevo fatto di tutto perchè ciò non accadesse.

Osservai Sofia. Non avrebbe dovuto sapere nulla: mai avrei voluto vedere quel suo meraviglioso sorriso spegnersi per colpa mia, del mio passato. Charlotte era un capitolo chiuso, che mai avrebbe dovuto riaprirsi.

Sofia's POV

Charles mi aveva mentito, lo capivo benissimo. Il monegasco era bravo a fare qualsiasi cosa, tranne nascondere i propri sentimenti, e si capiva perfettamente che in quel momento ansie e preoccupazioni stavano attraversando il suo cervello: i suoi occhi lo tradivano sempre, perchè erano lo specchio della sua anima.

Lasciai perdere, iniziando a chiedergli cosa avremmo fatto il giorno seguente, per distrarlo un po'.

Notai che mi rispondeva sorridendo, ma il suo era un sorriso di scuse. Osservai il suo telefono, che Charles si era premurato di posare sul tavolo con lo schermo rivolto verso il basso.

C'era qualcosa che non andava: lo sapevo.

Velocità II Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora