Capitolo 20.

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"𝑪'𝒆̀ 𝒖𝒏𝒂 𝒍𝒊𝒏𝒆𝒂 𝒔𝒐𝒕𝒕𝒊𝒍𝒆 𝒄𝒉𝒆 𝒅𝒊𝒗𝒊𝒅𝒆
𝒊𝒍 𝒅𝒐𝒍𝒐𝒓𝒆 𝒅𝒂𝒍𝒍𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒖𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆.
𝑺𝒆 𝒊𝒍 𝒑𝒓𝒊𝒎𝒐 𝒕𝒊 𝒄𝒂𝒎𝒃𝒊𝒂,
𝒍𝒂 𝒔𝒆𝒄𝒐𝒏𝒅𝒂 𝒕𝒊 𝒂𝒗𝒗𝒆𝒍𝒆𝒏𝒂."
𝑳.𝑲. 𝑪𝒐𝒍𝒍𝒆𝒏.

Martedì mattina ore 10.30.

La camera è sottosopra come se fosse passato un uragano.
Sono nuda sul pavimento, le mani, le gambe e i capelli appiccicosi di vodka. I raggi del sole penetrano attraverso le tende facendomi socchiudere gli occhi. Rimango distesa immobile per un tempo indefinito. Completamente persa per l'ennesima volta.
Il cellulare non smette di vibrare.
Non mi sembra nemmeno di essermi addormentata, piuttosto è come se avessi lottato con qualcuno tutta la notte.
Non c'è un punto del corpo che non mi faccia male.
Inspiro ed espiro profondamente.

Che diavolo è successo? Davanti agli occhi passano le immagini di ieri sera, baci, strette.

Puniscimi imploro.
No!

Allungo il braccio per afferrare il telefono poco distante da me. Cazzo le 11.30 ho perso gran parte delle lezioni di questa mattina. Rimango ancora un po' sul pavimento con le mani che mi coprono il viso tra gli infiniti pensieri che attanagliano la mia mente.

Oggi è il mattino dopo, il mattino dopo la tempesta, e quando ce n'è una cosa si fa? Si fa il calcolo dei danni, si valutano le riparazioni da fare, i morti i feriti..
Danni ce ne sono tanti, posso sentire ancora il fuoco innescato dal temporale bruciare, riparazioni ben poche.
Morti e feriti? Si, è come se mi sentissi morta, ma respiro, mi muovo, sono ancora viva, fuori. È dentro che sono stata uccisa, questo vuol dire solo una cosa.

Sopravvivrò.

Mi alzo e a fatica raggiungo il bagno per buttarmi sotto la doccia. Ho un aspetto orribile. Pulisco con una mano il vetro dello specchio appannato guardandomi dritta negli occhi. Non mi piace chi sono, sento davvero che non c'è più nulla di buono in me, devo riuscire a spegnere tutto. Ritornare sul quel monte immaginario che tanto sa di casa, con un piede ancorato sulla terra ferma e l'altro penzolante nel vuoto. Quel posto nella mia mente da dove vengo, fa meno paura di quello in cui sono adesso.

Devo rimettere ordine nel macello che sono. Trasformare questo dolore in qualcos'altro . Rabbia, vendetta, qualsiasi cosa.

Purtroppo quello che cerchi di essere, che ti sforzi ad essere, che fingi di essere, non cancella chi sei davvero. Ed io sono questa ,caos allo stato puro. Indosso dei vestiti puliti. Trucco gli occhi e le labbra minuziosamente, pettino i capelli, mi faccio bella come se dovessi incontrare chissà chi. Per nascondermi.
Mi faccio bella per coprire il brutto che c'è in me.
Questa stanza mi soffoca, le stelle, i post-it, il murale, la sua foto sul comodino, quel maledetto bicchiere con dentro un fiore appassito. Un fiore appassito da tempo, come me, ironia della sorte. Tutto mi nausea, spalanco la finestra e respiro aria nuova.

Prendo la borsa ed esco.

Devo cominciare da me, ma non gli darò scampo, voglio vederlo in ginocchio, strisciare ai miei piedi, implorare pietà. E non trovarne nemmeno un briciolo.

C̶A̶N̶C̶E̶L̶L̶A̶L̶O̶.
C̶A̶N̶C̶E̶L̶L̶A̶L̶O̶.C̶A̶N̶C̶E̶L̶L̶A̶L̶O̶.
C̶A̶N̶C̶E̶L̶L̶A̶L̶O̶.C̶A̶N̶C̶E̶L̶L̶A̶L̶O̶.
C̶A̶N̶C̶E̶L̶L̶A̶L̶O̶.

Arrivo in centro, compro dei barattoli di pittura, e ritorno al campus. Testa alta, occhi fissi davanti a me, sono più intontita che mai, ma il mio aspetto è curato nei minimi dettagli. Nessuno lo capirà. Sto bene.

Tra le crepe del mio cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora