Giocami!

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Pov's Vasiliy Lev Kozlov

- Lo sguardo è l'urlo dei silenziosi. -

Dopo quella mattina lì, non ha più parlato.

Ma ora sente me, non Lei, e mi basta questo.

Quel giorno la portai semplicemente in camera, dove dalla mia cabina armadio, feci ricomparire la sua bambolotta.

Nonostante il casino successo pochi minuti prima, i suoi occhi morti, brillarono.

Uno come il sole sul mare limpido e l'altro come un lampo in piena tempesta.

Così vidi quei due pozzi, in quel momento.

Se la strinse al petto, quasi fosse umana.

Poi mi guardò, e mi sorrise.

Così timida e impacciata, da farmi sorridere a mia volta.

Le confessai che gli animali a cui si era affezionata quando scappò da me, li avevo liberati.

Tirò un flebile sospiro di sollievo, sorridendo impercettibilmente.

Le parlai per tutto il giorno, continuamente, senza fermarmi.

Sembrava persa nei suoi pensieri, ma sapevo che registrava ogni cosa io le stavo dicendo.

Passò lentamente quella giornata.

Sono passate tre settimane e oggi sembra un'altra persona.

Mangia a tutti i pasti, anche se poco, ma riesco a convincerla.

E poi non vomita più, non si perde a fissare il vuoto, come le succedeva spesso.

Ho tolto gli specchi, sia dal bagno che dalle camere da letto.

So che può benissimo vedersi nel riflesso della finestra, ma già la cosa di non specchiarsi di prima mattina e vedersi, sembra farla stare tranquilla.

Lei in questo modo non si vede, e lascia fare tutto a me.

Lascia che la veda io, che le parli io.

Ed oltre a me, non vuole vedere neanche l'ombra di un estraneo.

Si stranisce anche solo a sentire, dall'altra parte della porta, la voce di Velimir.

Storce, in modo così adorabile, quel suo piccolo nasino e rilascia uno sbuffo silenzioso.

Non ne vuole sapere, e ormai ha le sue abitudini, che non vanno minimamente sfiorate.

Legge romanzi su romanzi, consuma il sacco da boxe a suon di pugni, ascolta sempre tanta musica con il giradischi e raramente, la trovo nella sala strumenti.

A suonare quel suo rammarico.

Che sembra non abbandonarla mai, ci cammina per casa lei, impregnata di questo suo profumo, che sa di tristezza, tormento e strazio.

Ma la trovo lì, in mezzo a quegli oggetti, che da quando ho capito, non gli sono mai appartenuti.

A carezzare quelle cordicelle con l'archetto o a passare furiosamente i polpastrelli, sui tasti del pianoforte.

Non la interrompo, lascio che si liberi per poi andarmene, dopo aver sentito la sua melodia, che urla disperazione.

Ha attacchi d'ansia, di rabbia e depressione improvvisi, che sbocciano nei meandri della sua testa e negli abissi più profondi del suo cuore.

Arrivano violenti, non chiedono il permesso.

Sfondando le porte della ragione, mandandola fuori di senno.

Vento SilenziosoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora