Disumano

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Pov's Vasiliy Lev Kozlov

- Un giorno l'amore disse all'amicizia: "Perché esisti tu se ci sono già io?"
L'amicizia rispose:
"Per portare un sorriso
dove tu hai lasciato una lacrima." -

Fentanyl.

Voleva ucciderla con un bicchiere pieno di Fentanyl.

Questo pensiero continua a rimbombarmi in testa, come la peggiore delle condanne.

L'avrebbe ammazzata ed io sarei morto per la seconda volta, senza morire davvero.

Continuando a vivere crogiolandomi nella sua assenza, più taciturna dei suoi stessi silenzi.

Ma non è successo.

Lei è viva e al sicuro.

La vita è infame, sì, ma ti insegna sempre qualcosa.

Io ero riuscito ad assimilare la lezione che, quel pomeriggio d'inverno, mi aveva impartito.

Scuoto il capo, mentre mi avvio nei miei sotterranei.

Una scia di sangue decora i gradini grigi e ammuffiti della scalinata.

Mi affretto ad entrare in una delle celle per esaminare la situazione.

E quando realizzo veramente di avere lo stronzo tra le mie mani, scoppio a ridere di cuore.

Faccio voltare i presenti, niente poco di meno che Velimir e Kenneth.

Il braccio destro di Mark.

Il mio migliore amico è seduto su una sedia di metallo che si regge un braccio dal quale cola liquido cremisi.

Si è preso lui uno dei due proiettili... Ed è qui, dolorante, solo per vedermi arrivare.

Lui è l'unico che capisce ogni mia mossa e smorfia.

Quando feci quella promessa a mio padre, che un giorno sarei diventato Zar e avrei ammazzato l'americano, fu lui a guardarmi da lontano.

Nascosto tra gli alberi, dove si era rifugiato perché aveva avuto paura dello scontro.

Lui l'aveva vista la mia angoscia e aveva visto me, l'essere anormale che ero diventato a causa della morte di Svetlana.

Nonostante tutto, fu quel bambino dagli occhi vitrei a venirmi a parlare.

Me lo ricordo ancora... Io, che dopo aver acchiappato il grembiule zuppo e averle dato un ultimo sguardo d'amore, mi diressi in camera mia.

Volevo lavare via quello che pareva essere il suo sangue, talmente ero disperato che provai ogni tipo di prodotto esistente nella lavanderia di casa.

Strofinavo con spugne e stracci, cambiavo ogni due per tre l'acqua della bacinella, ma non andava via.

Poi apparse quel ragazzo dall'aria mite e indifferente, che stava sbocciando nel suo corpo forte, porgendomi vino bianco e bicarbonato.

"Si smacchia solo con questi." Null'altro proliferò dalla sua bocca, ma rimase lì a guardarmi seduto sulla panchetta vicino alla mia.

Chiedendogli giusto qualche cosa, scoprii il suo nome, che era il figlio della capo cuoca, che aveva la mia età e che aveva assistito a tutta la scena.

A quella confessione che fece lui, mi paralizzai smettendo addirittura di strofinare le mani sul grembiule.

Semplicemente Velimir mi rivolse un'occhiata, più un cenno che nascondeva gli abissi dei suoi mari limpidi.

Vento SilenziosoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora