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Sono le cinque del pomeriggio ma sembra notte fonda.
Il temporale si è intensificato talmente in fretta che dentro, al chiuso, non si vede quasi nulla, la piccola finestra non è sufficiente a rischiarare l'ambiente.
Tiro lo zaino sul divano e mi dirigo ad accendere la piccola lampadina che penzola dal soffitto.
<Pensavo di essere l'unica pazza ad uscire di casa con questo tempo, ma vedo che non sono sola!> dico ridendo.
Il tizio ha appoggiato la schiena alla porta, tiene ancora la felpa sul viso, si sta guardando in giro come se si sentisse in trappola e non dice una parola.
Mi avvicino e lo scruto con attenzione.
Ad una seconda occhiata noto che ha un abbigliamento sportivo, ma uno sportivo curato e costoso, i jeans sono larghissimi, ai piedi calza delle Jordan colorate che non ho mai visto in giro, forse è più giovane di quello che avevo pensato.
Sembra spaventato.
<Tranquillo, capita spesso negli Hamptons di aver a che fare con burrasche così violente, il capanno reggerà!>
In tutta risposta si toglie il cappello e si scopre il viso e vedo con stupore che si tratta di un ragazzo si, ma di un ragazzo asiatico.
Ha gli occhi a mandorla, i capelli scuri, ondulati, gli cadono sulla fronte, ha le labbra piene, con un neo proprio al limite del labbro superiore.
È davvero molto bello, e mi ritrovo a fissarlo in modo non troppo educato.
Forse è per questo che non mi risponde, forse non parla la mia lingua?
<Ehm.... capisci quello che dico? Parli inglese?> chiedo.
<No, non parlo l'inglese molto bene> e fa un'espressione dispiaciuta che risulta buffissima.
Ha una voce particolare, roca ma squillante.
<Da dove vieni?>
<Sono coreano.> risponde.
Coreano? Che strana coincidenza è questa?
Mia nonna è coreana, quando ero piccola mi ha insegnato a parlare la sua lingua d'origine, e non so quante volte mi sono lamentata dicendole che non mi sarebbe mai servita, e non so quante volte lei invece mi ripeteva che un giorno l'avrei ringraziata.
Caspita, quel giorno sembra essere arrivato.
Raccolgo ogni mia conoscenza di coreano mettendo in fila le parole, non lo parlo da tanti anni, e gli dico che possiamo parlare nella sua lingua spiegandogli il perché la conosco.
Il ragazzo è stupito quanto me, ma almeno possiamo comunicare e sembra essere un po' meno guardingo.
<Wow> esclama <non hai l'aspetto di una ragazza asiatica ma non sembri nemmeno americana, la tua pronuncia e difficilissima per me da capire!>
Sorrido.
Un lampo illumina la stanza e dopo poco un tuono fragoroso sembra fare tremare il soffitto.
<Forse dovremo stare chiusi qui un po' più del previsto...vieni, siediti!>
Mi accomodo sul divano e raccolgo le gambe sotto di me, lo invito a fare altrettanto ma lui è restio, lo vedo tentennare, è indeciso, poi evidentemente capisce che non ha molta scelta finché fuori non si calma la tempesta, così prende una sedia, la avvicina al divano e si siede di fronte a me.
<Io sono Jinnie comunque> allungo una mano per stringere la sua, lui la osserva e sembra confuso, come se non sapesse cosa fare ma alla fine decide di ricambiare la stretta dicendo:
<Puoi chiamarmi Jay>
<Posso chiamarti Jay o ti chiami Jay? Perché c'è differenza!> chiedo.
Lui non risponde e mi guarda come se dicessi una cosa ovvia, come se dovessi sapere qualcosa che invece non so.
La pioggia sta battendo contro le pareti in legno, la luce dentro è tenue, è tutto un gioco di ombre e, se non fossimo due sconosciuti, sarebbe una situazione estremamente romantica.
Il cellulare di Jay non smette un secondo di vibrare, lo stanno tempestando di messaggi, lui scrive, scrive e scrive e non posso fare a meno di guardare le sue mani: sono lunghe, ben proporzionate, lisce e mi chiedo cosa si possa provare ad essere accarezzata da quelle dita perfette.
Scaccio immediatamente questi pensieri dalla mente, ma cosa mi prende?
<Sei qui in vacanza?>
<No no, per lavoro>
<Ah, che lavoro fai?> sono curiosa.
<Mmmm, un lavoro a contatto con il pubblico> dice un po' troppo velocemente.
Cioè? Vorrei insistere ma lo vedo davvero a disagio, continua a guardarsi attorno come se da un momento all'altro potesse sbucare qualcuno.
<Cosa ci facevi sulla spiaggia con un temporale annunciato in arrivo?> gli chiedo.
<E tu?>
Accidenti è un osso duro, decido di interrompere per il momento le domande e gli spiego che amo la pioggia e questi eventi atmosferici un po' estremi e che volevo venire qui sola per godermi lo spettacolo.
<Vivi qui?> mi chiede.
<Sono inglese, vivo a Londra, forse è per questo che il mio accento ti ha messo in difficoltà prima, sono qui in vacanza ma domani sera torno a casa>
<Se sei inglese come mai tua nonna è coreana?>
Effettivamente sono uno strano mix, così gli racconto che la madre di mia madre, da giovane lavorava all'ambasciata coreana a Londra, che si innamorò di mio nonno, inglese, si sposò e rimase in Inghilterra dove vive tutt'ora.
<Mia madre assomiglia un po' di più ad una donna asiatica, rispecchia meglio i vostri canoni, io sono ulteriormente diluita perché mio padre è scozzese, quindi ahimè, è rimasto ben poco delle mie già scarse origini coreane!> sorrido.
Jay mi scruta con occhi attenti e vorrei tantissimo possa piacergli quello che sta osservando, non è da me avere questi pensieri ma non riesco a frenarli.
Lui è estremamente cool, non so quale sia il suo lavoro ma ha un ottimo gusto nel vestire, io invece oggi ho messo davvero la prima cosa che ho trovato, sembro un maschiaccio e un po' mi sento a disagio così mi tolgo il cappellino e mi liscio la coda.
Lui spalanca gli occhi e istantaneamente allunga una mano con l'intenzione di toccarmi i capelli, ma la ritira velocemente prima di farlo.
Sogghigna.
<Hai i capelli dello stesso colore della glassa del pollo fritto!> esclama.
Scoppiamo a ridere entrambi, la sua risata mi coglie di sorpresa, è esilarante, contagiosa, più lo ascolto e più rido.
E si, i miei capelli sono ramati, eredità di mio padre, anche la spruzzata di lentiggini sul naso e la pelle bianchissima sono bagagli scozzesi che mi porto appresso, da mia madre ho ereditato gli occhi allungati colore marrone scuro e il fisico esile e minuto.
<Voleva essere un complimento vero?> domando tra le risa generali.
<Assolutamente si!> dice, e mi ritrovo a gongolare sulla sua risposta.
E continua:
<Hai una pelle bellissima, e quelle lentiggini ...posso toccare?> non aspetta il mio permesso e con la punta dell'indice mi sfiora impercettibilmente le guance poi sussurra:
<Wooow>
Anch'io vorrei chiedergli di poter toccare quel neo stupendo che ha sul labbro, ma evito e rimaniamo ad osservarci in silenzio.
Jay appoggia i piedi sul piolo della sedia, raccoglie le gambe e si abbraccia le ginocchia, nel farlo la felpa si alza un po' sulle braccia e vedo che al polso porta un orologio, ma non un orologio qualunque, l'oggetto in questione vale centinaia di migliaia di sterline, o dollari o non so quale altra valuta, e un pensiero terribile mi attraversa, e cioè che sia un invitato al party della villa, che questo stupendo ragazzo faccia parte dell'elite frequentata da mio padre.
Potrebbe essere si, i giorni scorsi ricordo di averlo sentito parlare di un affare importantissimo che aveva in ballo per espandere il suo lavoro e che questa sera ci sarebbero stati invitati speciali.
Parlava del mercato asiatico?
Se così fosse questo Jay dovrebbe fare parte del mondo della musica....
Si....potrebbe, ora che ci penso questa possibilità è più concreta che mai.
Oh ma perché non ascolto mai quando mio padre mi parla?
Cerco sempre di tenermi alla larga dal suo mondo, ma è chiaro che questo ragazzo non è come gli altri.
Potrei chiederglielo in modo diretto, ma lui sembra non volermi fare sapere chi è, e in realtà nemmeno io vorrei sapesse troppo sul mio conto, qualora fosse ospite di mio padre.
La tempesta fuori si è inasprita ulteriormente ed il rumore delle onde assomiglia ad un ruggito.

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