Ian entrò nella stanza, richiudendo la porta dietro di lui.
Prese una sedia, attento a non fare troppo rumore e non inciamparsi al buio, la avvicinò al letto, si sedette e per svariati minuti non disse niente.
Ian faceva così tutte le volte, era diventata una sorta di triste abitudine. Uscire di casa, camminare da solo, al buio, arrivare fino a lì e rimanerci per il resto della notte.
Aveva molte cose da dire, ma quando arrivava il momento di aprire bocca e sputarle fuori, non ci riusciva.
Ci aveva provato un sacco di volte in quelle tre settimane. Tutto quello che era riuscito a dire era "Mi...cazzo", prima di iniziare a piangere e decidere che da quel momento in poi sarebbe stato zitto.Fiona era molto preoccupata a causa di questa sua nuova abitudine: suo fratello era sotto farmaci, bombe di farmaci, non poteva permettersi notti insonni e nessun riposo. La ragazza sapeva benissimo che Ian non aveva bisogno solo di riposo fisico,ma anche e soprattutto mentale. E in quelle settimane Ian era tutto tranne che rilassato.
Erano passate tre settimane da quel giorno, eppure per il ragazzo era come se fosse successo ieri.
- Allora è così. Mi stai lasciando.
- Sì.Sì.
Ecco cosa gli aveva risposto. Nel momento più importante della sua vita, il momento in cui il ragazzo che amava di più al mondo gli aveva detto, senza mezze parole, che lo amava e che sarebbe stato con lui nel bene e nel male, lui aveva risposto che sì, lo stava lasciando.
Ian non riusciva a smettere di pensare a cosa avrebbe detto o fatto se solo avesse avuto la possibilità di tornare indietro e cancellare quella conversazione inutile e stupida.
Gli avrebbe risposto che lo amava anche lui, tantissimo, da sempre.
O forse gli avrebbe detto che aveva bisogno di lui e che questo lo faceva soffrire.
O forse gli avrebbe detto che lo voleva lasciare perchè non voleva che si rovinasse la vita con lui, ma forse Mickey sarebbe rimasto con lui lo stesso, se solo non avesse detto quel "sì".Ma gli occhi di Mickey erano diventati lucidi - Ian era disperato già da un pezzo - e ormai il danno era fatto.
Ian si contorceva le mani e i pensieri al ricordo di quel giorno. Provava quasi piacere a provocarsi la sofferenza del ricordo. Era giusto che soffrisse, perchè la sofferenza che provava lui non era niente in confronto a quella che Mickey provava da tre settimane.
Una smorfia di dolore e disgusto verso se stesso si formò nel suo volto stanco.
Era colpa sua. Tutta colpa sua. E non poteva farsene una ragione.
L'immagine di Sammi che inseguiva Mickey era lì, con lui, tutte le volte che chiudeva gli occhi.
Il suono degli spari lo svegliava di notte, lo faceva impazzire.
Ma quello che lo tormentava di più era l'immagine di se stesso, fermo, nel portico di casa Gallagher.
Lui era rimasto fermo. Indifferente alla scena.
Cosa gli era preso?
La sua mente era nel panico, avrebbe voluto correre da quella pazza psicopatica e spaccarle la faccia, ma il suo corpo non rispondeva ai comandi. Quindi rimase immobile.
Ian non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.Si allontanò per un momento da quei pensieri, asciugandosi le lacrime che gli avevano ricoperto la faccia, e si avvicinò ancora un po' al letto.
Mickey era disteso nel letto, circondato da macchine che facevano suoni fastidiosi e fili, fili dappertutto.
Dopo essere stato colpito da Sammi - tre volte, una delle quali gli aveva perforato un polmone - aveva subito un intervento di 14 ore e da quel momento era rimasto in quello stato penoso.
Mickey non parlava, non sognava, non respirava, se non grazie a tutta quell'apparecchiatura sistemata attorno a lui.
Mickey era in coma.
Dal giorno dopo l'intervento, Ian si era presentato in ospedale ogni sera, dopo il suo turno di lavoro. Ogni sera prendeva quella maledetta sedia e si sistemava vicino a lui.
All'inizio le infermiere erano contrarie a queste visite, perchè Ian non era un parente, ma quando si resero conto che era l'unica persona che effettivamente lo andava a trovare tutti i giorni, decisero che potevano concedergli una sorta di permesso speciale. In fondo Ian non faceva altro che stare seduto e piangere silenziosamente, non avrebbe in nessun modo intralciato la guarigione del paziente.
E poi bastava vedere lo sguardo disperato del ragazzo per capire che non era necessario essere un membro della famiglia per amare qualcuno incondizionatamente.Erano passate tre settimane e Mickey non era affatto cambiato. I medici dicevano che nelle sue condizioni non si poteva sapere nulla di preciso. Avrebbe potuto svegliarsi il giorno dopo, o dopo tre mesi o dopo sette anni. Si poteva solo aspettare e sperare.
Ian desiderava ogni giorno di essere al suo posto. Mickey aveva fatto tanto, troppo per lui, ma se n'era accorto troppo tardi. E adesso Mickey veniva ripagato in questo modo.
Ian aveva capito molte cose in quelle settimane.
A essere precisi, aveva capito tutto quanto in una notte, come se avesse avuto un'epifania: in un momento di pura lucidità aveva realizzato quanto era stato scorretto ed egoista con i suoi fratelli e con il suo ragazzo. Loro gli avevano dato affetto e amore incondizionato, si stavano prendendo cura di lui perchè volevano, non perchè dovevano. E Ian aveva frainteso, si era sentito trattato come un bambino o come un paziente da internare.
Adesso sapeva: Mickey non lo avrebbe mai trattato come se fosse pazzo. Lo avrebbe amato lo stesso, se solo lui glielo avesse concesso. E invece aveva rovinato tutto.
Avrebbero potuto essere una coppia. Non una coppia normale, ma una coppia che con alti e bassi ce l'avrebbe fatta.
Si amavano, erano pazzi l'uno dell'altro, erano fatti per stare insieme.Il ragazzo strinse il pugno sulle lenzuola bianche del letto di ospedale, attorcigliandole sulla sua mano chiusa.
Il suo corpo era stanco, i suoi pensieri gli facevano male. Tutto quanto, in quelle tre settimane era stato dolore.
Chiedere scusa alla sua famiglia, iniziare a prendere le medicine, sentirsi male, vedere Mickey in quello stato, avere tante cose da dire e non esserne in grado.
Ian era visibilmente dimagrito e pallido. Non dormiva, mangiava solo perché altrimenti le pillole gli avrebbero rosicchiato lo stomaco. In quei giorni si era lasciato trasportare dal tempo che passava sopra di lui, non aveva fatto niente con la sua volontà, se non uscire di casa tutte le sere dopo cena e andare a trovare l'unica persona che occupava i suoi pensieri.
Spesso si addormentava nella sedia e le infermiere lo svegliavano la mattina seguente, con un bicchierino di caffè e una zolletta di zucchero, guardandolo con occhi compassionevoli.Ma quella notte Ian non aveva sonno. Quella notte Ian si asciugò le lacrime, spostò la sedia dal fondo del letto verso il cuscino, si avvicinò alla testa di Mickey, immerse le mani nei suoi capelli neri scompigliati.
E iniziò a parlare.
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Gallavich fanfics
FanfictionFanfiction piccoline sulla mia OTP Non sono collegate tra di loro! È improbabile che quello che scrivo abbia un finale negativo, sono ancora piuttosto sconvolta da come è finita la quinta stagione. Alcune volte possono essere un po' OOC. Lasciatemi...