23.

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(AU dove Ian non è bipolare, è arruolato regolarmente nell'esercito e vive con Mickey da 4 anni.)

Ian si guardò allo specchio, sistemandosi la visiera del cappello.
"Specialista Ian Gallagher", c'era scritto nella targhetta.
Ian si sentiva fiero di quel nome, anche se in fondo non era altro che un grado superiore al soldato semplice.
Finì di sistemarsi l'uniforme e guardò l'orologio.
Era presto, troppo presto per svegliare Mickey e Yev.
Si sedette sul bordo del letto, vicino alle gambe del suo ragazzo e lì osservò, i due uomini della sua vita.
Yev aveva ormai 7 anni. Parlava perfettamente russo e inglese, aveva gli occhi azzurri di Mickey, la dolcezza dei lineamenti di Svetlana e il temperamento di Ian.

Svetlana aveva deciso di restare a vivere nella vecchia casa dei Milkovich, ormai abitata solo da lei e Nika.
Gli altri Milkovich, specialmente da quando Ian e Mickey avevano deciso di andare a vivere insieme, avevano preso tutti strade diverse abbandonando il South Side.

Iggy stava facendo quello che più desiderava nella sua vita: non fare un bel niente. Aveva trovato un compagno di avventure con un pick-up scassato ed era partito per la sua esperienza on the road. Abitualmente mandava cartoline con la sua faccia beffarda, il suo dito medio e un posto random tra gli States.

Mandy invece, dopo anni e anni di insicurezze e complessi, aveva trovato un uomo che la amava e rispettava come davvero meritava. Viveva ancora a Chicago, come Ian e Mickey, ma in quartiere meno distruttivo di quello della sua infanzia.Lavorava in un call-center e aveva già ottenuto una promozione.

Svetlana e Nika avevano trovato il posto giusto per loro.
Nessun affitto da pagare, - la casa era di Terry, che sarebbe rimasto in carcere ancora per un bel po' - un lavoro da commesse nel bar dietro l'angolo e potevano lasciare Yev dai ragazzi quando volevano, considerato che ormai era persino in grado di prendere la metro da solo, per raggiungere l'altro lato della città.

Mickey aveva imparato a fare il padre. Era un papà divertente, affettuoso, anche se molto prudente nel mostrarlo e soprattutto disponibile. Si era reso conto di voler crescere quel bambino in un modo totalmente diverso da come era cresciuto lui: niente sigarette a 11 anni, niente pistole, cocaina e prostitute in casa ad ogni ora.
Mickey fece un sospiro di sollievo quando un paio di anni prima Svetlana gli disse che aveva deciso di trovarsi un lavoro decente, in modo che suo figlio non si sarebbe vergognato di lei.

Per una volta, nella vita di Mickey Milkovich, le cose andavano per il verso giusto.
Non era stato facile ovviamente.
Ma da quando disse a tutti quanti di essere gay, quella volta, nel bar di Kev, e soprattutto quando si svegliò la mattina dopo, con Ian al suo fianco, iniziò proprio in quel momento a credere che le cose forse potevano davvero funzionare.
Da quel momento Ian e Mickey erano disposti a fare sul serio. A provarci, con tutti i sacrifici e le litigate e i compromessi.
Lo sapevano benissimo di essere giovani per avere progetti a lungo termine, ma sapevano anche che non avrebbero mai trovato in nessun altro quello che tanto faticosamente erano riusciti a costruire.
Quindi erano abbastanza convinti che sarebbero rimasti insieme ancora per molto, molto tempo.
Avevano le idee chiare sin dall'inizio: Mickey cercò un lavoro nel North Side, in modo da potersi permettere un monolocale in affitto.
Ian invece, appena finito il liceo si arruolò, con nome e data di nascita corretti questa volta e iniziò a fare carriera.
Il primo anno era stato difficile. Ian era a West Point e la distanza alcune volte sembrava avere la meglio su di loro.
Ma si erano fatti delle promesse e seppur tacite, entrambi volevano mantenerle.
E così fecero. Un anno dopo Ian viveva di nuovo con lui.
La loro vita era diventata quella di una normalissima coppia gay che conviveva.
Nemmeno nei loro sogni più nascosti avrebbero mai potuto sperare di essere tanto felici.
Mickey era incredibilmente orgoglioso del suo ragazzo e sapere che anche se in piccola parte era anche grazie lui che Ian era felice, rendeva il loro rapporto ancora più solido.

Ian era ancora seduto nel letto, soprappensiero e non si accorse nemmeno che Mickey si era svegliato:
- Hey - gli disse, allungando la gamba per sfiorarlo
- Hey Mick
- Buongiorno. Oggi è IL giorno. - disse, marcando le parole.
- Si, è arrivato il momento. Non ci credo che il tempo sia passato così in fretta.
- Abbiamo ancora qualche ora stamattina no? A che ora devi presentarti?
- Dopo pranzo. Abbiamo tempo - rispose Ian corrucciato.
- Tutto ok? Ti vedo pensieroso.
- No, tutto ok, stavo solo pensando..
- Racconta - disse Mickey stiracchiandosi e avvicinandosi a lui per dagli un bacio sulla guancia
- Pensavo a quando è arrivata la lettera.

Quando Ian venne a sapere dal suo superiore che era stato convocato per una missione e che grazie alla buona riuscita di quest'ultima avrebbe ottenuto una promozione e quindi uno stipendio migliore, non sapeva se correre da Mickey e dirglielo, magari con una bottiglia di Champagne, oppure se stare zitto e non considerare la cosa come qualcosa di cui festeggiare.
Mickey, quella sera, si accorse subito che Ian aveva qualcosa che non andava: tamburellava innervosito le dita sul tavolo, si schiariva la voce per parlare e alla fine non diceva niente.
Il moro ci mise tutta la sera per tirargli fuori quella notizia inaspettata.
Dopo l'iniziale stupore decise che sì, poteva e doveva essere considerata una bella notizia, anche se significava stare lontano da lui per 180 giorni.
Avevano superato di peggio, questo sarebbe stato una passeggiata.
Questo lo avevano capito semplicemente guardandosi negli occhi, senza dire una parola. Si erano guardati in faccia e tutte le loro paure e domande erano svanite. C'erano solo loro, ed era come se i chilometri e i giorni non avrebbero mai potuto veramente separarli.
Il loro amore non era condizionato da tempo o spazio. Era qualcosa di solido, costruito da pezzi rotti e frantumati. Ed era diventato così forte che niente avrebbe potuto spezzarli di nuovo.

- Ian, davvero. Guardaci. - disse Mickey guardandolo negli occhi, prima di spostare lo sguardo sulla stanza e sul piccolo Yev che dormiva nel lettone di fianco a lui.
- Abbiamo superato tante cose, Ian. Terry, un matrimonio, un figlio. West Point. E siamo ancora qui.
- Lo so - disse Ian con gli occhi lucidi - Ma mi mancherete troppo.
- Hey, dai, vieni qua. Sei tutto stropicciato!

Mickey gli prese le mani, gli baciò le nocche e poi, dopo avergli asciugato gli occhi, gli sistemò il cappello sorridendo.
In realtà non poteva vedere Ian triste o preoccupato, o lo sarebbe diventato anche lui. E l'ultima immagine di Ian vicino a lui non poteva essere triste.

- Ce la faremo?
- Ce la faremo Ian. Adesso ci alziamo e prepariamo la colazione per il marmocchio eh? Non voglio che ti veda triste.
- Non sono triste. Ok. Ok. Sono solo 6 mesi. Andrà bene.
- E poi abbiamo dei telefoni! Che mandano messaggi! E Skype! Mi chiamerai talmente spesso che mi stuferò di te - disse il ragazzo ridendo
- Sarà difficile stufarti di me Mickey.. Ok, la colazione!
- Alt! - sussurrò Mickey tirandolo per la cintura
- Prima...
- Prima?
- ...La doccia della mattina...
- Ma mi sono appena vest...
- Mi negheresti questo piacere? L'ultimo prima di sei mesi?!?!
- Mai. - e non aggiunse altro, perchè le labbra del suo ragazzo erano già incollate sulle sue.

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