45. [Potrebbe piacerti]

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(Dove Ian non è andato AWOL e non è bipolare, è entrato regolarmente nell'esercito, facendo carriera, mentre Mickey, rimasto a Chicago, diventa il co-proprietario dell'Alibi, insieme a Kev. Fate finta che quello che è successo dopo la 4x11 non sia mai successo!)

Ai ragazzi la notizia non piacque affatto. Non si erano mai dovuti trasferire e pensavano di non doverlo fare.
Per quanto il South Side fosse un pessimo posto dove passare l'adolescenza, loro erano cresciuti lì e non avevano alcuna intenzione di cambiare città.
Certo, tutti direbbero che andare a vivere in un posto dove il tasso di criminalità rientrasse nella media nazionale sarebbe perfetto, ma diciamocelo, erano loro stessi ad incrementarlo, quindi non era affatto un problema.
I due fratelli erano cresciuti esattamente come i loro genitori. Abituati a cavarsela nelle situazioni peggiori, a farsi rispettare nelle strade, a sapere quando era il momento di darsela a gambe.
Esattamente come loro, tranne che per un piccolo, grande particolare. I loro genitori li amavano, li avevano voluti e desiderati, continuavano a provare un affetto immenso per loro.

All'idea di doversi trasferire in Messico entrambi risposero con quello che sapevano fare meglio: protesta.
Cosa altro ci si può aspettare da due adolescenti costretti ad abbandonare scuola, amici e compagni di fumate?

- Papà, non puoi andare solo tu?

Ian sbuffò spazientito, dopo aver sentito questa domanda per l'ennesima volta.

- Scusa se vorrei ancora vivere con la mia famiglia!
- Ma allora non puoi rinunciare all'incarico e rimanere qui, con la tua famiglia?!
- Se rinunciassi all'incarico, perderei i bonus relativi e probabilmente voi non potreste più iscrivervi all'università.
- Che cazzo me ne frega dell'università in ogni caso

Ian fece per rispondere ma venne interrotto da Mickey, che stava entrando in salotto proprio in quel momento:

- Non credo proprio. Liv, non vorrai mica fare la nostra fine?

- Non mi sembra che abbiate fatto una fine tanto brutta eh - ribattè la ragazza, pur consapevole di quanto suo padre avesse ragione. Voleva solo controbattere ancora per un po' , ma aveva già capito che la decisione era presa.

- Certo, ma noi ci siamo spaccati il culo per arrivare fino a dove siamo arrivati. Credi che sia stato facile? Credi che noi vogliamo che voi facciate la vita illegale solo perché l'abbiamo fatta noi anni fa? Non c'è proprio nulla di divertente.
Noi andremo in Messico con tuo padre e voi andrete all'università. Punto.

Liv alzò gli occhi al cielo, sperando che suo padre Mickey non la vedesse - si ricordava ancora cosa era successo l'ultima volta - prese il telefono e andò in camera sua, seguita da suo fratello.

Ian e Mickey erano rimasti da soli in salotto.

- Non mi aspettavo tanto risentimento da Liv. Di solito è Kyle che fa tanto casino.
- Lasciala perdere Mick - disse Ian, allungando il braccio sotto al suo collo. - Alla fine non ha tutti i torti. Ti saresti incazzato come una merda se i tuoi l'avessero fatto a te.
- I miei probabilmente se ne sarebbero andati senza di me!
- Hai ragione... Anche i miei! - concluse Ian ridendo.

Il silenzio regnava nel salotto. Uno dei momenti che amavano di più era proprio dopo cena, quando i ragazzi uscivano o andavano a fare i compiti e loro potevano stare seduti nel divano, senza dirsi nulla. Il silenzio non li aveva mai turbati, così come quella confortante tranquillità che non si erano mai potuti permettere prima del matrimonio.
Nelle loro famiglie regnava il caos, come d'altronde in tutto il quartiere. Entrambi era stupiti dal fatto che si fossero abituati tanto bene a quella quiete e come questa fosse diventata una sorta di routine quotidiana alla quale non potevano mancare: divano, gambe incrociate e testa sulla spalla. Nè Ian nè Mickey si sarebbero mai aspettati di amare tanto momenti come questi.

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