Questi due mi hanno rubato il cuore? Eccome🌝e forse un giorno potrebbe arrivare anche qualcosina su Iullo e Giulia✨
Roma, Colle Palatino - 727 AVC (27 a.C)
«Bambina mia, parlo con cuore angosciato: assistere alle Floralia non sarebbe...» Augusto si lambicca sulla parola adeguata, un termine che Giulia concepisca e non lo prenda a male. «... edificante per te.»
La figlia interrompe il meticoloso intreccio di ghirlande, un inanellarsi di rose turgide e carnose come labbra femminili, teneramente impreziosite della prima rugiada del mattino. Le ha colte lei, all'alba, quando ancora il sole d'aprile non si è affacciato a snervarle con il suo molesto brillare.
Sopra il letto di suo padre, normalmente, si sente libera di comunicargli tutto. Un rifugio circondato dalle fini cortine palpitanti di vento, dove le steccate imposizioni del giorno decadono. Con il papà può parlare di tutto.
Beh, quasi tutto.
«Non rivolgermi quel broncio stizzito signorinella.» la riprende Augusto, un dito a sollevarle il mento. «Lo dico per il tuo bene.»
Lei si allontana brusca. «Dici tutto per il mio bene.»
Augusto sospira, strizzandosi la radice del naso.
Giulia e l'Impero, due figli esigenti da accontentare. Quando ha coniato quella frase non poteva innalzare esempi più lampanti. Neppure esempi: sono la verità. È vero, la reputazione della ragazzina gli sta molto a cuore, l'educazione severa e morigerata improntata alla ripresa di tradizioni antiche come il lavoro a telaio lo testimonia, ma affermare che a parlare non sia un cuore di padre sarebbe dire menzogna.
Le Floralia non sono una celebrazione qualunque. Giorni sfrenati di festa patronati dalla dea Flora, orgie in preda alla lascivia, alla dissolutezza più aggressiva e triviale. Cacce violente e immonde di sangue nel Circo Massimo agli animali agresti. L'unico particolare meno licenzioso potrebbe individuarsi nei colori sgargianti e accesi sfoggiati dalle donne e dalle ghirlande calzate in capo dagli uomini. Roma sarà inondata di fiori, scoppiettanti dai portali, straripanti dai davanzali, appesi tra le arcate. Il resto non lo reputerebbe idoneo agli occhi assetati di vita di una giovinetta come la sua bambina.
Bambina. Giulia ha dodici anni oramai, la fioritura in donna è imminente, esattamente come i boccioli che si spalancano in appariscenti vortici di petali, ma ai suoi occhi resterà in eterno quella scapestrata, birbantella piccolina che gli balzava incontro al ritorno da battaglie e sedute estenuanti.
La benedizione del cielo. E di Scribonia, l'unica.
«Sarò in compagnia!» brontola lei, infilando una rosa dietro l'altra. «Le Marcelle, Antonia Maggiore e Selene non sono mica delle sconosciute.»
Una compagnia al femminile. Scandisce una verità, le sue cugine e la ragazza egiziana le tiene sotto gli occhi praticamente ogni giorno - e, conoscendole, Augusto sospetta che quella peste scatenata di Antonia Minore troverà un sotterfugio per imbucarsi e bazzicare tra le mollezze della festa - però, però...
Il timore lo avvolge. Si tratta comunque di giovani donne cresciute nel rigore virtuoso e integerrimo delle tradizioni in balia di un mondo che non dovrebbero sfiorare neppure di sfuggita! Figuriamoci dal vivo! Tastarlo, osservarlo... oh Giove.
«Papà, ci saranno anche i pretoriani con noi, non saremo indifese.»
E vorrebbe ben vederlo! Sono i gioielli del tesoro di Roma, sua figlia una perla spettacolare, maledetto sia quello sfontato che opacizzerà il loro scintillio!
«Ti prego...» lo supplica Giulia, mani giunte, sguardo deferente. «Ti prego papà, ci comporteremo dignitosamente. Vogliamo solo guardare, guardare e rientreremo a casa, seguiremo i riti con voialtri. Ti prego!»
Ogni giorno che passa si fa sempre più bella e conturbante, sempre più dorata, sempre più desiderabile. Un uccellino in gabbia che recluso non potrà essere tenuto ancora a lungo. Sempre più lui. Testarda e pensierosa, sentenzia Livia, non rinunciando a una punta di livore, proprio lombi tuoi.
Figlia sua da qualunque angolatura si osservi.
«Va bene.» cede Augusto. Davanti agli occhioni cerulei della sua bambina non c'è scudo che resista. La maggior parte delle volte almeno. Ci sono richieste sulle quali deve tracciarci una linea decisa. «Puoi andarci.»
Giulia lo assalta, una pioggia di baci. «Grazie, grazie, grazie!»
Sorridente, contiene il suo entusiasmo, prendendole il viso tra le mani. La ghirlanda serpeggia sulle loro ginocchia, un cesto carico di boccioli sosta sulle lenzuola poco lontano.
«Ma farete ritorno subito, mi hai capito?»
«Sì papà.»
«Me lo prometti?»
«Un mordi e fuggi, te lo prometto. Non ci immischieremo in nulla di compromettente.»
L'accarezza sulle guance, fiorenti di rosa come petali. «Ti voglio bene.»
Giulia si volta, tirando a sé il filo di rose. Armeggia in silenzio, girandosi con un sorriso splendente e deponendo la corona fragrante sul capo d'oro cesellato del padre.
«Mio princeps dei fiori.»
Sua figlia gli si appiglia al collo, stampandogli baci e altri baci ovunque sul viso. Augusto casca tra i cuscini, la sua bambina raggomitolata al suo fianco.
«Ti voglio bene anch'io papà. Oltre il sole, la luna e gli astri fiammanti.»
«Oltre il sole, la luna e gli astri fiammanti» fa eco Augusto, solennità ridondante più che in qualsiasi cerimonia.
Una femmina è il balsamo del padre. Giulia è la medicina della sua esistenza.
Rinviene una corona di rose nel mobilio, secca e pressata, i petali scuriti dal tempo. Augusto teme che si sbricioli tra le mani se stritolata in una morsa eccessivamente forte.
L'aveva realizzata Giulia.
Giulia esiliata su un acrocoro di scogli e onde inclementi, scontante la sua punizione. Condannata perché Roma scampi la guerra civile, la colpa ufficiale la sua scandalosa, vergognosa condotta.
Una bugia traballante. Si domanda spesso se i romani se la siano bevuta veramente.
Magari no, in caso contrario non protesterebbero, non verrebbero a frotte a invocare la scarcerazione della figlia prediletta di Roma dal suo esilio imposto. Augusto nega, nega e ostenta pubblicamente il suo imbarazzo. Giulia non tornerà e l'imperatore non ha figlie, solo Roma immortale nel suo manto di marmo e fasti pomposi. Non può calpestare leggi da lui stesso istituite. Sarebbe arroganza.
Sarebbe tirannia.
Ma non è vero, non lo è assolutamente! Giulia non è un cancro, un ascesso, una pustola sprigionante tanfo e pus. Giulia è sua figlia, la sua tenerezza, il suo lato migliore. La sua Piccola Roma.
L'impero del suo amore. Ma ha dovuto sacrificarlo per quello di terra e mare.
Augusto errabonda per la stanza alla stregua di un vagabondo, approda al letto, alle sponde rimboccate e candide, alle cortine fruscianti. Affonda le unghie nella ghirlanda vizza e scolorita, creazione della sua bambina.
«Oltre il sole, la luna e gli astri fiammanti» mormora nel silenzio solitario, spifferanti di echi e vecchie memorie, dei suoi appartamenti.
Chissà se Giulia lo rammenta ancora.
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Meme dall'antica Roma con furore
RandomIl titolo parla da solo. Preparatevi al delirio.